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Chrome: stop all’uso dei cookie rubati, un nuovo passo per proteggere le identità online



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La nuova funzionalità del browser di Google si chiama Device Bound Session Credentials. Chrome collega i cookie a un dispositivo specifico, per impedirne il furto e il riutilizzo per dirottare gli account degli utenti. Ecco come funziona l’approccio, grazie alla crittografia asimmetrica e a meccanismi di firma sul web

Pubblicato il 4 apr 2024



Chrome: stop all'uso dei cookie rubati

Google ha svelato una nuova funzione di sicurezza di Chrome chiamata Device Bound Session Credentials (DBSC) che lega i cookie a un dispositivo specifico. L’obiettivo consiste nell’impedire ai criminal hacker di rubarli ed utilizzarli per dirottare gli account degli utenti.

“Negli ultimi tempi”, commenta Martina Fonzo, Threat Intelligence Analyst di Swascan, “i cookie sono diventati un bersaglio primario per i threat actors, in quanto consentono l’accesso non autorizzato agli account, anche quando si utilizza l’autenticazione a più fattori (MFA)“.

La soluzione di Google tende “a diminuire il rischio di furto delle sessioni introducendo un’alternativa ai bearer token con lunghi periodi di validità, utilizzati per l’autorizzazione all’accesso a una risorsa”, aggiunge Giuseppe Dongu, Head of Cybersecurity Team, Swascan-Tinexta Cyber: “Propone una modalità di autenticazione di sessione legata specificamente al dispositivo dell’utente”.

Ecco come proteggersi dai furti che minacciano la privacy e la sicurezza degli utenti, anche se permangono problematiche aperte. Tuttavia si tratta di “un’innovazione che, come per le passkeys, aggiungerebbe un tassello importante nella protezione delle identità degli utenti, aumentando l’utilizzo della della crittografia asimmetrica e dei meccanismi di firma sul web”, secondo Dongu.

Chrome blocca l’utilizzo dei cookie rubati

I cookie sono file che i siti web utilizzano per ricordare le informazioni e le preferenze di navigazione dell’utente e per accedere automaticamente a un servizio o a un sito web. Questi cookie vengono creati dopo l’accesso a un servizio e la verifica dell’autenticazione a più fattori, consentendo di bypassare l’autenticazione a più fattori (MFA) nei futuri accessi.

Purtroppo gli aggressori sfruttano il malware per trafugare questi cookie, aggirando così le richieste di MFA per dirottare gli account associati.

“Questi cookie sono sempre più spesso oggetto di furto attraverso malware di tipo infostealer“, conferma Martina Fonzo, “e il problema persiste anche dopo la rimozione del malware stesso. Una volta che i cookie vengono rubati, possono contenere una serie di informazioni sensibili, tra cui credenziali di accesso come nome utente e password, informazioni di sessione, preferenze degli utenti e cronologia di navigazione“.

Dunque, “i cookie rubati costituiscono una grave minaccia per la privacy e la sicurezza degli utenti online, permettendo agli attaccanti di accedere a una vasta gamma di dati sensibili e utilizzarli per scopi fraudolenti”.

Per risolvere questo problema, Google sta lavorando a Device Bound Session Credentials. La nuova funzione impedisce agli aggressori di rubare i cookie legando crittograficamente i cookie di autenticazione al dispositivo.

“Ciò significa che anche se i cookie vengono rubati, gli attaccanti non possono utilizzarli senza la chiave crittografica salvata sul dispositivo“, spiega la Threat Intelligence Analyst di Swascan.

Infatti “quando un utente accede a un servizio online, viene creato un nuovo cookie di autenticazione legato solo al suo dispositivo tramite una chiave crittografica generata dal chip TPM (Trusted Platform Module)”, aggiunge Martina Fonzo.

“L’approccio (di Google, ndr)”, secondo Giuseppe Dongu, “diminuisce il rischio di ‘riciclo’ delle identità degli utenti su dispositivi differenti da quello usato per l’autenticazione”. Infatti “obbliga il malware a operare unicamente sul dispositivo locale, rendendolo più semplice da identificare e neutralizzare, non essendoci più token esfiltrabili dai bot utilizzabili su altre macchine”.

I dettagli

Dopo aver abilitato il DBSC, il processo di autenticazione è legato a una nuova coppia di chiavi pubbliche/private generata tramite il chip Trusted Platform Module (TPM) del dispositivo. Essa non può essere infiltrata ed è memorizzata in modo sicuro sul dispositivo. Dunque, anche se un utente malintenzionato ruba i cookie, non sarà in grado di accedere agli account associati.

“L’utilizzo del DBSC si basa sulla disponibilità nelle macchine degli utenti, del Trusted Platform Module, utilizzato per generare la coppia di chiavi necessaria per la firma del challenge previsto e per la protezione della chiave privata dai malware“, sottolinea l’Head of Cybersecurity Team di Swascan: “C’è una buona diffusione del TPM fra gli utenti (circa il 60% degli utenti Windows, in crescita)”.

“Legando le sessioni di autenticazione al dispositivo, DBSC mira a sconquassare il settore dei furti di cookie, poiché l’esfiltrazione di questi cookie non avrà più alcun valore“, ha dichiarato Kristian Monsen, ingegnere software del team Chrome Counter Abuse di Google.

Infatti, “grazie a questo progresso, gli attaccanti troveranno estremamente difficile sfruttare i cookie rubati, poiché senza la chiave crittografica associata al dispositivo, i cookie diventano praticamente inutilizzabili”, conferma Martina Fonzo. “Così si contrasta il crescente problema del furto di cookie e proteggendo gli account degli utenti”.

“L’introduzione di tecnologie come DBSC riflette una consapevolezza crescente che la sicurezza degli utenti non è soltanto una responsabilità, ma anche un vantaggio competitivo“, mette in evidenza Riccardo Paglia, COO & Head of Sales di Swascan: “In un’era in cui le violazioni dei dati sono all’ordine del giorno, e la fiducia degli utenti è sempre più difficile da guadagnare, le soluzioni tecnologiche innovative che prioritizzano la sicurezza degli utenti possono fare la differenza nella percezione del marchio”.

I vantaggi offerti da Device Bound Session Credentials (DBSC)

“Pensiamo che questo ridurrà sostanzialmente il tasso di successo delle minacce informatiche per il furto di cookie. Gli aggressori sarebbero costretti ad agire localmente sul dispositivo, il che rende più efficace il rilevamento e la pulizia sul dispositivo, sia per i software antivirus che per i dispositivi gestiti dalle aziende”, continua Monsen.

Sebbene sia ancora in fase di prototipo, secondo la stima temporale condivisa da Google, è possibile testare DBSC andando su Chrome://flags/ e abilitando il flag dedicato Enable-bound-session-credentials sui browser web basati su Chromium di Windows, Linux e macOS.

“Le specifiche del progetto (open source sotto licenza W3C)”, secondo Vincenzo Sgaramella, Head of Project Management di Swascan, “mirano a diventare uno standard web, visto anche l’interesse di altri vendor (browser, server e Identity Provider)”.

Il DBSC funziona permettendo a un server di avviare una nuova sessione con il browser e di associarla a una chiave pubblica memorizzata sul dispositivo dell’utente attraverso un’API (Application Programming Interface) dedicata.

Ogni sessione è supportata da una chiave unica per proteggere la privacy dell’utente. Invece il server riceve solo la chiave pubblica utilizzata per verificare il possesso in un secondo momento.

DBSC non consente ai siti di tracciare l’utente in diverse sessioni sullo stesso dispositivo. Inoltre l’utente può eliminare le chiavi create in qualsiasi momento.

La nuova funzionalità di sicurezza dovrebbe essere inizialmente supportata da circa la metà di tutti i dispositivi desktop Chrome. Sarà altresì allineata all’eliminazione graduale dei cookie di terze parti in Chrome.

“Quando sarà completamente implementata, i consumatori e gli utenti aziendali otterranno automaticamente una maggiore sicurezza per i loro account Google”, ha aggiunto Monsen.

“Quando i service provider dimostrano un tale impegno nel proteggere i propri utenti, non fanno solo un servizio alla loro clientela, ma investono anche nella loro stessa sostenibilità a lungo termine”, sottolinea Riccardo Paglia: “Questa strategia non beneficia solo giganti della tecnologia come Google, ma offre un modello replicabile anche per altre aziende, grande e piccole, che operano online e non solo”.

Sviluppi futuri della funzione di Chrome contro il furto dei cookie

“Stiamo anche lavorando per abilitare questa tecnologia per i nostri clienti di Google Workspace e Google Cloud per fornire un ulteriore livello di sicurezza degli account”.

Negli ultimi mesi, gli attori delle minacce hanno abusato dell’endpoint dell’API OAuth MultiLogin di Google, non documentato, per generare nuovi cookie di autenticazione dopo che quelli precedentemente rubati sono scaduti.

In precedenza, secondo BleepingComputer, Lumma e Rhadamanthys, dedite alle operazioni di malware per il furto di informazioni, sostenevano di poter ripristinare i cookie di autenticazione di Google scaduti rubati durante gli attacchi. All’epoca, Google consigliava agli utenti di rimuovere qualsiasi malware dai loro dispositivi e raccomandava di attivare la funzione Enhanced Safe Browsing in Chrome per difendersi dagli attacchi di phishing e malware.

“La nuova feature presentata da Google DBSC sembra invece un’ottima risposta per mitigare l’abuso di cookie da parte di threat actor e malware come abbiamo visto, ad esempio, con lo zero-day sfruttato dagli infostealer LummaC e Radamanthys”, spiega Riccardo Michetti, Senior Threat Intelligence Analyst di Swascan.

Infatti la nuova funzione impedirà effettivamente agli attori delle cyber minacce di abusare di questi cookie rubati, poiché non avranno accesso alle chiavi crittografiche necessarie per utilizzarli.

“Tramite DBSC Google assicura la totale protezione dall’abuso di cookie bindando la sessione del browser dell’utente al dispositivo”, conferma Riccardo Michetti, “e rendendo quindi impossibile ad un attaccante l’utilizzo del cookie su un dispositivo diverso. La nuova feauture promette sicuramente un miglioramento per la sicurezza dell’utente e allo stesso tempo rende molto più complicato per un attaccante effettuare un Account Takeover“.

“L’implementazione del DBSC comunque non sostituisce la necessità di proteggere tutti gli attori in gioco“, avverte Vincenzo Sgaramella, “gli endpoint, con soluzioni EDR adeguate, e gli utenti, mediante specifiche sessioni di training per gestire i vettori d’attacco come, ad esempio, il social engineering”.

Problematiche ancora aperte

Tuttavia è doveroso ricordare che “ci sono altre tipologie di attacco che consentirebbero al threat actor di impossessarsi dell’account vittima, ad esempio, tramite tecniche di AiTM (Attacker in the middle) sfruttate dalle ultime campagne phishing osservate”, mette in guardia Riccardo Michetti: “Inoltre non è ancora chiara la compatibilità con diversi dispositivi e browser: ciò potrebbe comunque sfociare in problemi di sicurezza dove la feature non risulta utilizzabile”.

“Le realtà che adottano proattivamente misure per la gestione del rischio e la protezione dei dati non solo rispondono alle crescenti aspettative dei consumatori, ma si posizionano anche favorevolmente rispetto alla normativa sempre più stringente sulla privacy e protezione dei dati, come il GDPR in Europa”, conclude Riccardo Paglia: “Questo approccio non solo riduce il rischio di costose violazioni e sanzioni ma può anche migliorare significativamente la percezione del marchio tra gli utenti e i cittadini consapevoli. L’esempio di Google e la sua implementazione di DBSC evidenzia l’importanza di una visione lungimirante nella gestione della sicurezza digitale. Le aziende che percorrono questa strada non solo si difendono dalle minacce attuali ma si preparano anche a fronteggiare le sfide future, dimostrando che l’attenzione alla protezione degli utenti è una strategia non solo etica ma anche estremamente proficua”.

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