La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 28 aprile 2022 (resa nella causa C-319/20), ha stabilito che l’articolo 80 del GDPR si applica direttamente agli Stati membri: l’effetto è la legittimazione diretta delle associazioni di tutela dei consumatori alle azioni inibitorie contro lesioni della privacy.
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Class action privacy, cosa dice la Corte di giustizia UE
La vicenda processuale che ha portato alla – innovativa – sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea nasce dall’iniziativa di alcune associazioni di tutela dei consumatori tedesche. Queste ultime avevano agito nei confronti di Meta Platforms Ireland (la società europea che controlla, tra gli altri, i social Facebook e Instagram per il territorio europeo) in via inibitoria. Lo scopo dell’azione era impedire, in va preventiva, la violazione delle norme relative alla privacy, alla lotta contro la concorrenza sleale e alla tutela dei consumatori che Meta avrebbe realizzato tramite alcuni giochi online gratuiti.
La questione più complicata – e risolta dalla Corte in senso affermativo – riguardava la legittimazione attiva, ossia la legittimazione a proporre ricorso, da parte delle associazioni di consumatori. La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha affermato che la legittimazione attiva delle associazioni di categoria è sancita dall’articolo 80 del GDPR, che al paragrafo 2 stabilisce che “Gli Stati membri possono prevedere che un organismo, organizzazione o associazione di cui al paragrafo 1 del presente articolo, indipendentemente dal mandato conferito dall’interessato, abbia il diritto di proporre, in tale Stato membro, un reclamo all’autorità di controllo competente, e di esercitare i diritti di cui agli articoli 78 e 79, qualora ritenga che i diritti di cui un interessato gode a norma del presente regolamento siano stati violati in seguito al trattamento”.
La Corte ha quindi stabilito che le associazioni a tutela dei consumatori hanno legittimazione attiva per le azioni inibitorie previste dall’articolo 80 del GDPR purché vi sia una normativa nazionale che la preveda. In altri termini, per agire in via inibitoria con la cosiddetta class action, quest’ultima deve essere prevista per legge dall’ordinamento nazionale dello Stato membro dell’associazione di categoria.
Il caso austriaco
Una vicenda analoga era stata, nel 2021, dal Tribunale di Vienna; in quel caso il giudice austriaco aveva ritenuto che sussistesse la legittimazione attiva dell’associazione applicando direttamente l’articolo 80, paragrafo 2, del GDPR, letto in via sistematica con quanto affermato nel “Considerando” 42 dello stesso GDPR, che fa esplicito riferimento alla direttiva sulle clausole abusive nei contratti con i consumatori (93/13/CEE).
In altri termini, il Tribunale di Vienna ha desunto da norme di diritto dell’Unione direttamente applicabili la legittimazione attiva delle associazioni di categoria ad agire in via inibitoria. La Corte di Giustizia dell’Unione europea, invece, parrebbe aver affermato la necessità di una legislazione ad hoc.
La situazione in Italia
Nel nostro ordinamento la legittimazione delle associazioni dei consumatori ad agire in giudizio, anche per promuovere azioni inibitorie è prevista dal Codice del Consumo (decreto legislativo numero 206 del 2005) e dagli articoli 840 bis e seguenti del Codice di procedura civile.
L’articolo 840 bis del Codice di procedura civile stabilisce che “I diritti individuali omogenei sono tutelabili anche attraverso l’azione di classe, secondo le disposizioni del presente titolo. A tale fine, un’organizzazione o un’associazione senza scopo di lucro i cui obiettivi statutari comprendano la tutela dei predetti diritti o ciascun componente della classe può agire nei confronti dell’autore della condotta lesiva per l’accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni. Ai fini di cui al periodo precedente, ferma la legittimazione di ciascun componente della classe, possono proporre l’azione di cui al presente articolo esclusivamente le organizzazioni e le associazioni iscritte in un elenco pubblico istituito presso il Ministero della giustizia”.
Sotto il profilo della previsione normativa, quindi, il nostro ordinamento è adeguato: le associazioni di consumatori possono agire in via inibitoria preventiva ai sensi dell’articolo 80, paragrafo 2, del GDPR.
Conclusioni
Non è tutto oro quel che luccica: la class action italiana ha solo il nome di quella americana ed è del tutto differente. Quello che si può fare è agire a tutela di interessi collettivi senza che vi sia una lesione diretta dei diritti dei singoli: è un’azione che tutela la potenziale prevaricazione dei diritti dei consumatori. Un’associazione – che preveda la tutela dei diritti alla riservatezza dei consumatori nel proprio statuto – potrà quindi agire per “costringere” un’azienda a interrompere una determinata condotta scorretta senza avere il mandato diretto di un singolo cittadino.
Non è invece possibile agire per ottenere un risarcimento in maniera “diffusa” come avviene negli States: quella che viene comunemente chiamata class action, in Italia, altro non è se non una causa promossa da più soggetti con posizioni similari. Il regime probatorio, quindi, è analogo alle cause singole, senza regole specifiche che distinguano le cause collettive da quelle promosse dal singolo individuo.