Per il nostro Garante Privacy un articolo ha valore di “documento storico” e in quanto tale non può essere cancellato, dovendo rimanere disponibile nella sua interezza agli utenti/abbonati ovvero a coloro che volessero svolgere specifiche ricerche.
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Il nuovo provvedimento del Garante privacy
Nella nota del 6 febbraio 2024 il Garante privacy, tra gli altri, rende noto che un articolo di un quotidiano non deve essere cancellato dall’archivio online dal momento che quest’ultimo “svolge un’importante funzione per la ricostruzione storica degli eventi che si sono verificati nel tempo”.
I dettagli del caso
Il caso nasce a seguito di un reclamo presentato da una donna, la quale si era rivolta all’Autorità per “far cancellare i propri dati personali da un articolo conservato nell’archivio online di un editore di un quotidiano nazionale”. Questi i fatti.
Al riguardo, la reclamante sosteneva, come si ha modo di leggere nella newsletter – ma non anche nel provvedimento di fatto non disponibile o non altrimenti pervenuto- che “le informazioni contenute nell’articolo le recassero pregiudizio e non fossero più attuali”.
Nella fattispecie, la donna lamentava che la notizia riguardasse una vicenda giudiziaria di rilevanza penale per la quale era stata condannata (nel 2009) a una pena detentiva di quattro anni, senza tuttavia riportare anche gli ulteriori sviluppi.
Le motivazioni e la decisione del Garante
Il Garante, per quanto ci è dato sapere dalla nota in parola, ha rigettato il reclamo motivando che “la conservazione dell’articolo all’interno dell’archivio online dell’editore risponde ad una legittima finalità di archiviazione di interesse storico-documentaristico che, pur differente da quella originaria di cronaca giornalistica, è anch’essa prevista dal Regolamento europeo” stabilendo precisi limiti al potere di esercitare il diritto di cancellazione; e da qui il cuore della questione, come vedremo poco più oltre.
Non solo, il Garante nell’addivenire a ciò ritiene testualmente che non sussistono “ragioni di interesse pubblico che giustifichino una perdurante reperibilità dell’articolo”.
Di qui, la decisione di imporre all’editore l’adozione di “misure tecniche idonee ad inibire l’indicizzazione dell’articolo da parte dei motori di ricerca esterni al sito del quotidiano”.
Nella pratica, ciò significa che, come conclude il Garante, “la deindicizzazione disposta solo da un motore di ricerca, ha il solo effetto di dissociare il nome dell’interessata dall’URL collegato all’articolo”.
Il principio e un paio di precedenti sul punto
Il principio è dunque questo: no alla cancellazione dell’articolo, sì alla deindicizzazione dai motori di ricerca.
Ma non si tratta di un principio né nuovo né isolato. Analizziamo un paio di precedenti al riguardo.
Il precedente provvedimento del Garante sul diritto all’oblio
La vicenda in questione si pone sulla scia di un precedente dell’Autorità che risale al 2021 quando la medesima poiché chiamata a pronunciarsi su un caso analogo, ha stabilito che un articolo conserva il suo valore di documento storico; ecco perché deve restare accessibile nella sua integrità agli abbonati e a chi dovesse svolgere ricerche specifiche.
In quel caso, un cittadino chiedeva di “ordinare all’editore di un quotidiano nazionale online, di cancellare i propri dati personali da un articolo pubblicato in estratto nell’archivio online”.
In quel caso, analogamente, l’uomo riteneva che “l’articolo gli recasse pregiudizio e non fosse più attuale, dal momento che riguardava una vicenda giudiziaria risalente al 1998, senza riportarne i successivi sviluppi”. Tal quale alla vicenda in disamina.
L’ordinanza della Cassazione
Altro precedente degno di nota nel contesto che ci occupa è dato da una pronuncia della Corte di Cassazione, prima sezione civile, con l’ordinanza n. 34685 la quale ha accolto il ricorso del Garante Privacy contro Google.
In quel caso, ricordiamo che il nostro Garante e non di meno i giudici di legittimità possono: “ordinare, in conformità al diritto Ue, al gestore di un motore di ricerca di effettuare una deindicizzazione globale: il cd global delisting o global removal”.
Si tratta, aggiungono i giudici, di “un repulisti esteso dunque anche ai Paese extra europei, andando a incidere sulle versioni del motore al di fuori dell’Ue”.
In pratica, la Cassazione suggerisce di ricorrere a una decisione presa all’esito di un bilanciamento tra il diritto della persona alla tutela della sua vita privata e alla protezione dei dati personali e il diritto alla libertà d’informazione. Non solo, altro passaggio saliente “tale valutazione va fatta secondo gli standard di protezione dell’ordinamento italiano senza dunque badare alle regole vigenti nei paesi esteri.
Fermo restando, ovviamente, che le altre nazioni (fuori dell’Ue) potranno anche non tener conto di tale ordine”.
L’antenata storica sentenza Google Spain
Un cenno è d’obbligo all’antenata storica e famosa sentenza Google Spain del 2014 con la quale di fatto, in estrema sintesi, la Corte di Giustizia ha consacrato il diritto all’oblio constatando che, nell’esplorare Internet in modo automatizzato, “il gestore di un motore di ricerca raccoglie dati ai sensi della Direttiva 95/46/CE”.
Non solo, viene sancito altresì che: “il gestore estrae, registra e organizza tali dati nell’ambito dei suoi programmi di indicizzazione, prima di metterli a disposizione dei propri utenti sotto forma di elenchi di risultati”. Da qui, il trattamento dati personali.
In altri termini, il gestore di un motore di ricerca su Internet è sostanzialmente responsabile del trattamento.
Il corretto bilanciamento tra esercizio e garanzia dei diritti
Un tema tanto delicato quanto importante concerne l’esercizio e la garanzia dei diritti fondamentali della persona e in particolare, da un lato quello relativo alla protezione dei dati personali, financo tutelato dall’art. 8 della Carta dei diritti fondamentali della Unione europea, e dall’altro quello afferente alla ricerca storica, tutelato dall’art. 9 della nostra Costituzione.
Come arcinoto, il Regolamento (UE) 2016/679 – GDPR e l’attuale Codice Privacy, prevedendo garanzie e deroghe al trattamento dati per fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica ovvero a fini statistici di fatto applicano un bilanciamento tra diritti/principi costituzionali.
Non a caso, infatti, la finalità di ricerca storica, vedi quella di archiviazione nel pubblico interesse, per esempio, o di ricerca scientifica per altra ipotesi, non è ritenuta di per sé incompatibile con le diverse finalità iniziali per le quali i dati personali sono stati trattati.
Fatta eccezione, tuttavia, al principio di limitazione di trattamento che legittima una conservazione dei dati stessi per “periodi eccedenti il conseguimento delle finalità iniziali”.
Rammentiamo ancora che il GDPR nel prevedere (legittimo e lecito) il trattamento per dette finalità richiede ad un tempo garanzie adeguate per i diritti e le libertà dell’interessato, tali da assicurare che “siano state predisposte misure tecniche e organizzative, in particolare al fine di garantire il rispetto del principio della minimizzazione dei dati” (art. 89, par. 1).
La deindicizzazione globale e non solo su motori di ricerca in UE
Il Garante nel ritenere che non sussistano, ora come allora, “ragioni di interesse pubblico che giustifichino una perdurante reperibilità dell’articolo”, ha quindi ingiunto anche al caso di specie, “all’editore di adottare misure tecniche idonee ad inibire l’indicizzazione dell’articolo da parte di motori di ricerca esterni al sito del quotidiano”.
La deindicizzazione ha dunque l’effetto di dissociare il nome della persona interessata dall’URL collegato all’articolo che resta comunque reperibile, utilizzando chiavi di ricerca diverse.
Quindi, in conclusione, ciò che conta è “l’utilità sociale e il valore di documento storico dell’articolo” oltre alla deindicizzazione compiuta dall’editore quale misura di sicurezza attuata.