Svolta nel mondo della privacy: le chat sono corrispondenza. A statuirlo è la Corte suprema di Cassazione Penale con la sentenza n. 1269 del 13 gennaio 2025 che ha stabilito un principio fondamentale ovvero che “le chat contenute nei cellulari sono a tutti gli effetti corrispondenza”.
Quindi, d’ora in avanti, i dati e le informazioni contenute ed estratte da uno smartphone non sono soltanto più meri documenti di libero accesso e consultazione, ma sono comunicazioni private, protette dalla Costituzione.
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La sentenza della Cassazione: le novità
La sentenza in parola si pone nel solco di un’altra pronuncia della Corte Costituzionale la n. 170 del 7 giugno 2023 la quale aveva già esteso la tutela della corrispondenza alle comunicazioni digitali.
La novità risiede nel fatto che l’accesso alle chat/screenshot e quindi ai documenti contenuti negli smartphone, non può più avvenire liberamente, nemmeno con il consenso dell’indagato, né per il solo fatto che c’è un’indagine in corso e quindi il perseguimento di un reato. La privacy (quasi) prima di tutto.
Perché possano essere utilizzate occorre dunque un provvedimento motivato da parte dell’Autorità giudiziaria competente, proprio come accade per l’intercettazione – anche se i presupposti sono differenti (attività in itinere) di una telefonata.
Il tutto perché la tutela della data protection è un diritto fondamentale che prevale su ogni altra esigenza, compresa quella di una indagine penalmente rilevante.
Non solo, con questa sentenza il cellulare è considerato finalmente un “contenitore di corrispondenza” e quindi equivalente alla stessa e pertanto costituzionalmente garantito (art. 15).
Il caso di specie e i passaggi motivazionali più significativi
Il caso vedeva l’indagato per “spaccio di sostanze stupefacenti” e quindi incriminato anche grazie al ricorso dei messaggi contenuti WhatsApp utilizzati a suo carico, ma inutilizzabili in quanto acquisiti non nelle forme previste dagli artt. 253 e 254 cod. proc. pen., trattandosi di corrispondenza.
Al riguardo, la Suprema Corte afferma proprio che “occorre evidenziare come le garanzie di salvaguardia del diritto alla riservatezza dei dati archiviati nella memoria di un telefono cellulare, a seguito della sentenza della Corte Cost. n. 170 del 2023 del 7 giugno 2023, hanno visto ampliare il loro campo di applicazione attraverso la riconosciuta natura di corrispondenza anche alle comunicazioni non più in itinere ma acquisite dopo la loro ricezione da parte del destinatario”.
Insomma, a tutte le comunicazioni, comprese le chat le quali dunque rientrano nella copertura costituzionale dell’art. 15 che “tutela la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, consentendone la limitazione soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria si estende a ogni strumento che l’evoluzione tecnologica mette a disposizione a fini educativi, compresi quelli elettronici e informatici e rimane valida finché la comunicazione conservi carattere di attualità e di interesse per i corrispondenti, venendo meno solo quando il decorso del tempo o altra causa abbia trasformato il messaggio in documento storico, cui può attribuirsi un valore retrospettivo, affettivo, collezionistico, artistico, scientifico o probatorio”.
Ecco, dunque, che anche la messaggistica istantanea di Whatsapp contenuta negli smartphone diviene a tutti gli effetti “corrispondenza” privata, meritevole di privacy.
Il principio di diritto
Ecco il principio di diritto: “Non vale il consenso dell’indagato – per evitare abusi – a ritenere legittima l’acquisizione di chat dallo smartphone in uso al medesimo, stante la necessità inderogabile di un previo provvedimento dell’autorità giudiziaria. Gli screenshot non potevano essere fatti e non si configura una prova atipica: in un sistema ispirato al principio di legalità, non è permesso alla polizia di aggirare espresse previsioni di legge per compiere atti atipici con l’obiettivo di raggiungere lo stesso risultato di quelli tipici”. Eloquente.
Il consenso dell’indagato non basta
Dalla sentenza in parola è interessante notare come anche in questi casi il consenso dell’indagato non sia sufficiente.
D’altra parte, sarebbe un consenso “viziato” o forzato. Infatti, la Suprema Corte è netta nel dire che “anche se il consenso fosse stato reso dalla persona indagata su sollecitazione della polizia giudiziaria, e pur dopo l’avviso della facoltà di essere assistito da un difensore, resta imprescindibile, onde prevenire il rischio di abusi, che in situazioni del genere la polizia giudiziaria abbia il dovere di procedere al sequestro del telefono senza poter accedere al suo contenuto”, senza potervi accedere e guardare per supportare la tesi accusatoria.
Del resto, il consenso deve sempre pur essere libero, espresso, non estorto.
Il precedente della Corte Costituzionale
Il precedente della Corte Costituzionale (cd “sentenza Renzi” perché aveva ad oggetto l’acquisizione di plurime comunicazioni, con messaggi elettronici, del Senatore Matteo Renzi disposte dalla Procura di Firenze senza la previa autorizzazione da parte del Senato),) è richiamato espressamente nella sentenza in parola dal momento che “in tema di mezzi di prova, i messaggi di posta elettronica, i messaggi “whatsapp” e gli sms custoditi nella memoria di un dispositivo elettronico conservano natura giuridica di corrispondenza anche dopo la ricezione da parte del destinatario”.
La svolta interpretativa, dunque, è stata data in ordine alla definizione di corrispondenza, rilevante ai fini della tutela dell’art. 15 della Costituzione ricordando come “Il concetto di «corrispondenza» è ampiamente comprensivo, atto ad abbracciare ogni comunicazione di pensiero umano (idee, propositi, sentimenti, dati, notizie) tra due o più persone determinate, attuata in modo diverso dalla conversazione in presenza; in linea generale, pertanto, lo scambio di messaggi elettronici – e-mail, SMS, WhatsApp e simili – rappresenta, di per sé, una forma di corrispondenza agli effetti degli artt. 15 e 68, terzo comma, Cost”.
Le conclusioni
In conclusione, nonostante il rigetto del ricorso con la condanna dell’indagato/imputato segna senz’altro una svolta e anche abbastanza epocale, determinando delle implicazioni anche non di poco conto, atteso che, nello specifico della sfera penale le indagini dovranno essere condotte con maggiore cautela anche nel rispetto della privacy.