Cominciano i primi “guai” – se così possiamo chiamarli – per il Privacy Sandbox di Google. L’ambiziosa iniziativa, che ha visto la luce tra il 2021 e il 2022 con l’obiettivo di riformare il tracciamento degli utenti senza compromettere la personalizzazione degli annunci si è scontrato con ostacoli significativi, in particolare le preoccupazioni sollevate dall’Information Commissioner’s Office (ICO) del Regno Unito e la vigilanza della Competition and Markets Authority (CMA).
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La visione di Google: un cambiamento necessario
Il modello attuale di pubblicità online si basa in gran parte sui cookie di terze parti, ossia piccoli file di testo che tracciano l’attività degli utenti sul web per permettere agli inserzionisti di indirizzare annunci mirati.
Sebbene efficace, questo sistema è stato criticato per la sua invasività e le implicazioni sulla privacy degli utenti. Google, così come altre Big Tech (Meta e Apple, giusto per fare qualche nome), con la sua iniziativa denominata Privacy Sandbox, propone un’alternativa che mira a limitare il tracciamento diretto degli utenti attraverso l’uso di tecnologie alternative ai cookie che preservano l’anonimato, cercando di bilanciare le esigenze degli inserzionisti con quelle della privacy degli utenti.
Tale soluzione, come vedremo, ha suscitato un ampio dibattito tra sostenitori e critici.
Da un lato, organizzazioni come la Electronic Frontier Foundation hanno espresso preoccupazioni sul fatto che, nonostante i miglioramenti, il sistema proposto da Google continui a consentire una forma di tracciamento.
Dall’altro, alcuni nel settore pubblicitario vedono le proposte di Google come un passo avanti significativo verso una maggiore privacy, riconoscendo che il sistema attuale basato sui cookie è insostenibile a lungo termine.
Le preoccupazioni dell’ICO e il ruolo cruciale della CMA
La reazione dell’ICO alle proposte di Google ha messo in luce le sfide di implementare un sistema che sia veramente rispettoso della privacy. Secondo l’ICO, la Privacy Sandbox di Google lascia aperte delle lacune che potrebbero essere sfruttate per continuare a tracciare gli utenti, seppur in maniera meno diretta. Queste preoccupazioni hanno spinto l’ICO a chiedere ulteriori modifiche, evidenziando la complessità di creare una soluzione che soddisfi tutte le parti interessate.
La CMA, d’altro canto, grazie da un lato alla stratta collaborazione con l’ICO nell’esaminare la Privacy Sandbox e dall’altro alla moltitudine di reclami pervenuti in merito alla possibilità concreta che, in realtà, come facilmente immaginabile il Privacy Sandbox non sia altro che uno specchietto per le allodole creato ad arte da Google, avrà il suo bel da fare.
In particolare, così come emerge da una recente inchiesta portata avanti dal Wall Street Journal, alcuni tra i principali player operanti settore pubblicitario, che criticano aspramente la soluzione proposta dal colosso di Mountain View, sostengono che il motore di ricerca di Google e la piattaforma video di YouTube trarranno vantaggio dall’eliminazione dei cookie perché non ne fanno così tanto affidamento; sostenendo, d’altro canto, che il piano di Google sia quello di innescare un meccanismo di aste pubblicitarie nel browser Chrome che porrebbe Google in una posizione ancora più dominante rispetto a quella che già ricopre.
Altro aspetto da considerare, e che, per forza di cose, dovrà essere sviscerato da parte non solo della CMA, ma di tutte le autorità garanti della concorrenza è relativo a quali saranno effettivamente le tecnologie sostitutive che andranno a rimpiazzare i cookie.
Assumendo come fatto certo che Google non ha l’intenzione di cedere nemmeno un centimetro della posizione dominante – per usare un eufemismo – che attualmente ricopre all’interno del mercato, è facilmente immaginabile che per compensare le funzionalità che andranno perse con l’abbandono dei cookie, le nuove tecnologie che verranno adottate punteranno non solo a colmare il gap ma, verosimilmente, a rafforzare ancora di più la posizione di Google nell’ecosistema della pubblicità digitale.
Verso un futuro incerto
Mentre Google cerca di navigare tra le esigenze degli inserzionisti, le aspettative degli utenti e le preoccupazioni dei regolatori, il futuro della pubblicità online rimane incerto.
La Privacy Sandbox rappresenta un tentativo audace di riformare un sistema radicato, ma il suo successo dipenderà dalla capacità di Google di affrontare le critiche e lavorare con i regolatori per sviluppare una soluzione che sia veramente vantaggiosa per tutti.
Oltre alle osservazioni già espresse da ICO e CMA si attendono i giudizi, della Commissione Europea e, soprattutto della FTC. Quest’ultima, infatti, da quando è presieduta da Lina Khan ha iniziato una vera e propria crociata contro le Big Tech scagliandosi prima contro Meta (allora si chiamava ancora Facebook) e poi, aspramente, contro Microsoft per quanto riguarda l’acquisizione di Activision.
Inevitabilmente i tempi si allungheranno, e non di poco. In un primo momento, Google aveva fissato l’obiettivo di eliminare i cookie di terze parti entro la fine del 2022. Tuttavia, l’azienda ha recentemente annunciato che non sarà in grado di rispettare questa tempistica, citando la necessità di conciliare feedback divergenti da parte dell’industria, delle autorità di regolamentazione e degli sviluppatori.
Questo ritardo è stato accolto con favore da alcuni settori dell’industria pubblicitaria, che vedono nel rinvio un’opportunità per prepararsi meglio ai cambiamenti. Il dilatamento dei tempi pone, tuttavia, interrogativi in merito all’effettiva fattibilità del progetto.
Ora, Google ha ora fissato il 2025 come nuovo obiettivo per l’eliminazione graduale dei cookie, ribadendo l’impegno a collaborare con la CMA e l’ICO per ottenere l’approvazione dei suoi piani.
Un equilibrio precario
La sfida di Google nel riformare la pubblicità online attraverso la Privacy Sandbox sottolinea un dilemma fondamentale dell’era digitale: come garantire che la pubblicità online possa essere sia efficace sia rispettosa della privacy degli utenti.
Mentre l’industria pubblicitaria si prepara per un futuro senza cookie di terze parti, la strada da percorrere rimane complessa, con importanti questioni ancora da risolvere.
Le opinioni, come è ovvio che sia, sono contrastanti e variano a seconda degli interessi in gioco. Da un lato si sta assistendo ad una demonizzazione, se così si può chiamare, dei cookie che improvvisamente sono diventati la fonte di tutti di mali che affliggono il web.
Dall’altro, il caso vuole che questa caccia alle streghe sia portata avanti e incoraggiata proprio da chi sui tracciamenti e sulla pubblicità ci ha costruito un impero e che ora, miracolosamente, propone al mondo la panacea a tutti i mali. Insomma, chi ha diffuso, o contribuito a diffondere, il morbo è lo stesso che ora ha in mano la cura miracolosa. La vera domanda da porsi non è dunque se il Privacy Sandbox, o qualsiasi altra soluzione di questo tipo, sia effettivamente più tutelante nei confronti degli utenti ma se sia conciliabile con i profitti – mastodontici – delle aziende.