Linda Sarsour è un’attivista di origini palestinesi impegnata per i diritti della minoranza musulmana negli Stati Uniti, la cui notorietà è accresciuta in seguito alla manifestazione nazionale della Marcia delle Donne nel 2017 contro l’allora Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.
Più di 4 milioni di persone hanno partecipato alla protesta, considerata tra le più grandi manifestazioni della storia americana. L’evento ha attirato l’attenzione di molti, tra cui la Russia.
Di fatto, il governo di Mosca ha designato dei gruppi di sorveglianza adibiti al monitoraggio della Marcia delle Donne e nei successivi diciotto mesi le “troll factories” e l’intelligence russa si sono attivati per screditare il movimento facendo circolare notizie forvianti sull’attivista.
I gruppi russi, nello svolgere tali attività di screditamento, hanno usato account falsi fingendosi, ad esempio, donne afroamericane critiche verso il “femminismo bianco”, donne conservatrici che si sentivano escluse dalla manifestazione e, in alcuni casi, uomini che schernivano le donne che avevano preso parte alla marcia.
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La macchina del fango delle “troll factories”
I 2.642 tweet pubblicati sulla Sarsour sono stati successivamente ripresi dal movimento conservatore americano per screditare il suo operato, portando all’allontanamento di molti sostenitori dell’attivista e ad un conseguente scioglimento dell’organizzazione.
Di fatto, come riporta il The New York Times, la Sarsour ha attirato l’attenzione americana principalmente a causa del suo hijab (il velo per coprire il capo) e di alcune sue critiche pubbliche mosse contro Israele, che le sono valse l’accusa di essere antisemita.
Conseguentemente, i tweet degli utenti russi sono stati ripresi soprattutto dai media di impronta conservatrice, i quali hanno riproposto molte delle informazioni veicolate dai russi, specialmente quelle che indicavano la Sarsour come estremista islamica e sostenitrice dell’ISIS. Come riportato dal Corriere della Sera, i media americani hanno anche rilanciato diverse dichiarazioni della Sarsour, considerate controverse, contro le politiche israeliane rispetto ai territori occupati.
L’indagine svolta dal New York Times riconduce questi falsi utenti di matrice russa ad un’organizzazione con sede in Russia, denominata Internet Research Agency (IRA). Secondo la testata giornalistica americana, l’IRA, una “troll farm” (ovvero un’agenzia dedita al monitoraggio e allo screditamento mediatico e online di altri individui) sostenuta dal Cremlino, si era già attivata in passato in operazioni per interferire con il processo politico ed elettorale statunitense creando profili falsi di cittadini americani e diffondendo false informazioni durante le elezioni del 2016.
Nel 2019 un rapporto bipartisan del Comitato di intelligence del Senato ha rilevato che l’Internet Research Agency ha cercato di sostenere il candidato Donald Trump diffamando la candidata Hillary Clinton, con l’obbiettivo di inficiare le possibilità di vittoria dell’esponente democratico.
Le troll factories per creare disinformazione
Nell’ottobre del 2018, sono stati rilasciati da Twitter dei dataset che comprendono degli account, dei tweet e diversi media di matrice russa: tra account evidenziati, 3.841 si presume fossero affiliati all’IRA. Inoltre, dei ricercatori della Columbia School of Internartional affairs, hanno analizzato all’incirca 2,9 milioni di tweet presenti all’interno del dataset, rilevando come le attività di “trolling” erano diminuite, durante il periodo di analisi, del 35% durante le festività russe.
Lo studio della Columbia School ha inoltre osservato come i tweet ex novo delle “troll factories” avessero un impatto mediatico maggiore rispetto ai “retweet” (ovvero la ripubblicazione di un tweet che è di tendenza) pubblicati da altri utenti.
Incrociando i dati dell’Hedonometer (uno strumento di ricerca che misura l’indice di felicità in grandi popolazioni assegnando punteggi ai tweet in lingua inglese) con i periodi di attività dei “trollers” di matrice russa, lo studio della Columbia ha ulteriormente evidenziato come la percezione degli utenti Twitter statunitensi rispetto alle istituzioni pubbliche americane non variasse sostanzialmente durante le festività russe.
L’attività svolta dai russi, è una tipica tecnica che viene sfruttata per creare disinformazione e influenzare determinate situazioni. Di fatto, oggi i social media sono lo strumento più utilizzato per condurre questo tipo di attività . Jonathon Morgan, ex consigliere del Dipartimento di Stato per le risposte digitali al terrorismo, ha affermato che normalmente la strategia russa mira a destabilizzare gli Stati Uniti, concentrandosi sulle divisioni già esistenti e amplificandole, piuttosto che sostenere un singolo partito politico.
Lo strumento più utilizzato dai “troll” russi è la pubblicità mirata. Osservando ciò che gli utenti condividono prevalentemente su Facebook, quest’ultimo suddivide i profili per categorie. Alcune di queste sono demografiche (età, stato, sesso) e altre si basano sulle preferenze e sugli interessi.
Gli agenti russi hanno anche utilizzato una tecnica pubblicitaria basata sul tracciamento di determinate categorie di utenti sul Web. Ad esempio, cliccando su un sito web “mascherato”, si può identificare il browser e consentire ai troll di reindirizzare gli annunci agli utenti in altre parti del web, come delinea il Washington Post.
Codice di condotta sulla disinformazione online: così l’Europa rafforza la lotta alle fake news
Le azioni dei social contro la disinformazione
Per poter contrastare questi account “fake” e/o “bot”, programmati per distribuire messaggi di propaganda politica o virus attraverso i social media, nel 2018 Facebook e Twitter hanno adottato misure più radicali per combattere la disinformazione russa sui social.
L’inchiesta del New York Times mette in chiaro che queste attività diversive non riguardano solamente la campagna elettorale americana o la marcia delle donne, bensì mirano a sfruttare le divisioni già esistenti all’interno della società americana, e ai paesi alleati di Washington.