Sono numerosi i cittadini che, in maniera più o meno sprovveduta, si sono fidati di presunti “brokers esperti nel trading online” e, per questo, si rivolgono agli studi legali per cercare quantomeno di tamponare i danni delle truffe di cui sono rimasti vittime.
Lo schema è sempre lo stesso: l’ignaro investitore, solo dopo il terzo o quarto versamento di denaro (il più delle volte avvenuto a mezzo bonifico bancario a società terze), si rende conto che la società di brokeraggio che lo ha contattato in realtà è composta da subdoli truffatori che, attraverso artifizi e raggiri e la promessa di ingenti guadagni, sono riusciti a convincerlo a versare il proprio denaro, secondo il noto “schema Ponzi”, ovverosia, più investi, più guadagni, senza però alcuna possibilità di ritirare quanto falsamente guadagnato (ma nemmeno il capitale iniziale investito).
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Truffe del trading online: la normativa antiriciclaggio
L’esperienza maturata ci ha ormai confermato che la strada del tentativo di recupero del denaro dai sedicenti broker e dalle società/piattaforme “fasulle”, è quasi impossibile (anche alla luce dell’ inesistente collaborazione delle autorità investigative).
La nostra azione è stata pertanto rivolta alle operazioni di pagamento sottostanti, che coinvolgono le banche che hanno autorizzato i passaggi di denaro, nonché il beneficiario finale degli stessi.
Pertanto, dopo aver indirizzato i clienti a sporgere denuncia/querela di quanto accaduto, si provvede ad “allarmare” gli istituti bancari affinché provvedano – attraverso le procedure interbancarie – alla revoca (recall) delle operazioni di pagamento, chiedendo quindi di attivarsi, in ottemperanza alle disposizioni vigenti, per il recupero del denaro trasferito a terzi dietro artifizi e raggiri compiuti a danno del correntista.
Infatti, la normativa europea antiriciclaggio stabilisce che le segnalazioni di operazioni sospette sono sottoposte a obblighi di divulgazione e di condivisione sia fra privati, ma anche e soprattutto fra gli istituti bancari e le istituzioni finanziarie (Regolamento (UE) 2015/847 riguardante i dati informativi che accompagnano i trasferimenti di fondi; Direttiva (UE) 2015/849 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario ai fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo).
L’attenzione sulle banche di moneta elettronica
Una volta messo in moto tale procedimento, le banche estere su cui poggiano i conti correnti dei beneficiari dei pagamenti – per lo più società a responsabilità sedenti nella maggior parte dei casi in Estonia, Polonia, Lituania, Slovacchia e Spagna) – saranno quindi richieste di provare l’esistenza dei requisiti legali di queste ultime, specie relativamente allo scopo delle loro attività: grava, infatti, sugli istituti bancari l’onere di provare l’adeguatezza dei sistemi di monitoraggio e di sorveglianza sulle transazioni di denaro.
Alla luce della Direttiva 2015/849 e del Regolamento europeo 2015/847 è infatti necessario che i trasferimenti di denaro siano essere effettuati nel rispetto di una serie di obblighi sia nei confronti del prestatore di servizi di pagamento del pagatore, sia nei confronti di quello del beneficiario, consistenti nel controllo dei pagamenti e in una attenta raccolta di informazioni sulla clientela basata su documenti e dati, secondo le regole di policy KYC (Know Your Customer): in tanti casi le Banche richieste di tali informazioni sono messe in grande difficoltà.
È recente l’intervento del Consiglio della Banca di Lituania che ha revocato la licenza alla banca di moneta elettronica Epayblock Uab a causa delle violazioni della legge della Repubblica di Lituania sulla prevenzione del riciclaggio di denaro e del finanziamento del terrorismo, derivandone l’obbligo per la stessa di restituire i fondi ai terzi danneggiati dal mancato rispetto dei suddetti requisiti legali.
Altre banche di moneta elettronica sono state attenzionate dalla Banca centrale a seguito delle nostre segnalazioni e tutt’oggi si attendono gli esiti delle indagini svolte dalle suddette Autorità bancarie di controllo.
Difendersi dalle truffe del trading online: la giusta strategia
Senonché, la strategia rivelatasi più foriera di risultati (forse l’unica), è stata quella di indirizzare le indagini e le relative richieste di rimborso nei confronti delle summenzionate società beneficiarie dei pagamenti effettuati dagli ignari investitori, i cosiddetti “processori di pagamento”.
Queste società sono quelle che sono state indicate dai sedicenti broker come destinatarie dei bonifici di pagamento e nella maggior parte di casi si tratta di crypto exchange, ovverosia entità che dovrebbero provvedere al cambio di moneta corrente in moneta virtuale (criptovalute).
L’apertura di un account presso di esse da parte dell’ investitore, equivale “all’ingresso del topo nella trappola”: infatti, una volta mutati gli euro in criptovalute, queste ultime sono gestite e deviate in piena autonomia da parte del broker truffatore, attraverso una sorta di “furto d’identità”.
Infatti, l’account risulta appartenere all’ignaro investitore che avrà fornito al sedicente broker tutta la documentazione necessaria (alcune volte anche un “selfie” con in mano la propria carta d’identità”) per l’apertura dello stesso, ma in realtà in tal modo i truffatori operano indisturbati sull’account, avendone pieno accesso, e a quel punto il gioco è fatto: le unità crittografiche, identificative delle criptovalute, vengono immediatamente trasferite in portafogli (wallet) terzi attraverso passaggi su altre piattaforme, per poi scomparire.
Gli scambi di criptovalute presso tali “processori di pagamento” richiedono però il rispetto della policy KYC (Know Your Customer): queste entità sono quindi richieste di provare il rispetto della normativa e, in ogni caso, la genuinità della provenienza dei documenti d’identità e degli altri dati del richiedente l’acquisto delle criptovalute.
Conclusioni
Quindi, attraverso i numerosi casi di truffe del trading online posti alla nostra attenzione, si può affermare senza dubbio che la criminalità informatica e le truffe non sarebbero possibili senza il coinvolgimento intenzionale o gravemente negligente dei processori di pagamento, e pertanto il perseguimento e l’individuazione degli stessi, collusi con i criminali, sono un obiettivo chiave nella lotta contro le truffe e per il tentativo di recuperare del denaro.
Grazie alla collaborazione di vittime di truffe e informatori, nonché della collaborazione di autorità investigative dei paesi dove hanno sede queste società, sono stati scoperti numerosi processori di pagamento senza licenza o in ogni caso illegali per il palese mancato rispetto delle normative e della policy KYC, fra le altre l’ungherese Wascom Group KFT, o l’estone Woodstock:le vittime hanno infatti depositato denaro tramite i conti bancari di questi processori di pagamento tenuti presso banche di moneta elettronica.
Tante di queste società illegali, peraltro, operano ufficialmente in campi completamente diversi (la Wascom Group KFT apparentemente vende cucine, altre ricambi d’auto o servizi turistici) mettendo i loro conti bancari a disposizione di truffatori/criminali informatici in cambio del pagamento di commissioni elevate.