Sin dalla scoperta delle trasmissioni radio, la tecnica di protezione dei segnali elettromagnetici dalle interferenze è stata una tecnologia fondamentale ma oggi, con l’avvento delle comunicazioni quantistiche, sta per cambiare la tecnica trasmissiva.
Difatti le nuove chiavi crittografiche potrebbero rappresentare una frontiera inespugnabile agli hacker.
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Come funziona la crittografia nella trasmissione dati tradizionale
Nel XXI secolo siamo entrati in una delicata fase dell’era informatica, nella quale le problematiche relative alla sicurezza da cyber attacchi e alla sorveglianza elettronica sono globali.
Ogni nazione studia come rendere sicure le proprie comunicazioni, sia quelle terrestri che quelle satellitari le quali saranno sempre più pervasive e non immuni da rischi e pericoli.
È evidente come, in questo scenario, la crittografia abbia sempre giocato un ruolo di primo piano.
Il termine criptazione – o crittografia – deriva dalla parola greca “kryptós”, che significa nascosto: si tratta, infatti, di una tecnica per garantire l’autenticazione e il contenuto di informazioni trasmesse via etere o via cavo.
Non si nasconde il messaggio in sé, ma il suo significato, rendendone il testo incomprensibile attraverso una alterazione matematica – un algoritmo che effettua sostituzioni e trasformazioni sul testo in chiaro – nota solo al mittente e al destinatario.
In una comunicazione telefonica, ad esempio, senza conoscere l’insieme dei parametri che definiscono l’alterazione del messaggio – dette chiavi, bersaglio principe degli hacker – un potenziale ascoltatore non sentirebbe altro che un rumore costituito da segnali digitali.
La crittografia moderna si basa sulla cosiddetta “ipotesi di complessità”, cioè sulla difficoltà di calcolo per determinare le complesse funzioni matematiche alla base delle chiavi, ma non fornisce alcuna indicazione su un evento di intercettazione in un punto del flusso di comunicazione: si fa quindi affidamento al fatto che lo sforzo per trovare le chiavi di accesso sia così imponente da non riuscire a essere implementato e gestito.
Purtroppo, la realtà quotidiana ci dice che ogni sistema può essere preda di hacker e uno schema crittografico può essere annullato facendo un numero enorme di operazioni casuali, sino a trovare una chiave che sblocca le informazioni codificate, in due numeri primari.
È un compito straordinariamente difficile, ma non impossibile: occorrono enormi potenze di calcolo e matematici intelligenti, due cose che non mancano ad esempio ai governi. Gli stessi governi che, nella continua ricerca di mezzi di trasmissione i più sicuri possibile, privilegiano quando possono le reti satellitari.
Gli USA, che adottano dei requisiti di telecomunicazione mission-critical senza compromessi per la sicurezza, operano con flotte di satelliti geostazionari dotati di protezione nucleare, sistemi anti-jamming e un elevatissimo flusso di throughput dati.
Come funzionano le comunicazioni quantistiche e cos’è l’entanglement
In ogni modo, non ha molto senso confrontare le trasmissioni satellitari con quelle terrestri privilegiando le une o le altre relativamente alla intrinseca sicurezza, dato che è la crittografia del segnale che rende la comunicazione sicura, piuttosto che la rete con cui la si trasmette.
Proprio in virtù di questo, però, riveste una grande valenza tecnologica e strategica l’esperimento di trasmissione satellitare con crittografia quantistica, effettuato dai ricercatori dell’Università di Scienza e Tecnologia di Shanghai, che nel 2017 hanno inviato particelle quantiche dal satellite Mozi – dal nome di un filoso cinese del 480 a.C. – lanciato quasi un anno prima, verso stazioni di terra distanti tra loro 1200 chilometri.
La meccanica quantistica fu introdotta nel 1900 da Max Planck, per spiegare lo spettro del “corpo nero”, cioè un oggetto in grado di assorbire – e riemettere – tutta la radiazione incidente su di esso; Albert Einstein in seguito ottenne il Nobel dimostrando l’effetto fotoelettrico – cioè l’emissione di elettroni da un metallo illuminato – che non solo la materia non era continua, data la sua natura atomica, ma anche la luce lo era.
Nelle sue dimostrazioni Einstein si imbatté nel fenomeno del cosiddetto “entanglement” (groviglio, intreccio) che definì, non senza perplessità, “azione spettrale a distanza”, cioè un fenomeno per il quale due particelle “fuse” in stati quantici complementari, si comportano come una singola entità, non importa quanto esse siano tra loro distanti.
Si tratta di un comportamento misterioso che si scontra con la nostra comune visione della realtà, e ci fa intravedere una sorta di “substrato universale” in grado di connettere tra loro le particelle, al di là del tempo e dello spazio.
Stephen Wiesner, un fisico della Columbia University, introdusse nel 1968 il concetto di codifica quantistica proprio sfruttando il principio dell’entanglement. Nel suo articolo “Coniugate Coding”, inizialmente rifiutato dalla IEEE, ma poi pubblicato nel 1983 su SIGACT News, egli dimostrava come memorizzare o trasmettere due messaggi codificandoli in due “coniugati osservabili”, in modo che entrambi potessero essere ricevuti e decodificati.
Se una delle due particelle viene “hackerata”, la sua coniugata “reagisce” immediatamente, anche se si trova dalla parte opposta dell’universo, rivelando la presenza di un hacker, e spezzando la comunicazione.
Nel loro esperimento satellitare i ricercatori cinesi hanno colpito con un laser uno speciale cristallo a bordo del satellite Mozi, generando l’emissione di coppie di fotoni “entangled”, cioè con stati di polarizzazione opposti nel momento della misura.
In orbita a 8 km/sec, il satellite ha inviato, con precisione impressionante, circa 6 milioni di coppie di fotoni al secondo verso due stazioni di terra, Delingha e Lijiang, entrambe nel Tibet ma distanti oltre 1200 chilometri, e quasi una coppia al secondo ha raggiunto le stazioni di terra, permettendo ai ricercatori di misurarne la polarizzazione e quindi di confermarne l’entanglement.
Protocollo non hackerabile per le comunicazioni quantistiche
Dato che sinora gli esperimenti di trasmissione quantica su reti terrestri – fibre ottiche – non avevano prodotto risultati su lunghezze oltre le poche decine di miglia – il team cinese ha invece dimostrato l’enorme potenzialità del satellite in grado di trasmettere da distanze di oltre 600 km.
Anche se l’esperimento è stato più che positivo, il rapporto tra fotoni inviati e ricevuti – 1 coppia su 1 milione – è ancora molto basso per una applicazione reale a breve termine.
Però il principio per un protocollo non hackerabile di comunicazione quantistica, che potrebbe quindi diventare realtà nel prossimo decennio, è stato dimostrato, e quello che oggi è sembrato un semplice esperimento scientifico potrebbe avere rappresentato un test chiave per consolidare le basi tecnologiche per le comunicazioni quantistiche del prossimo futuro.