Le minacce interne sono in aumento. Un rapporto del Ponemon Institute, afferma che il numero di incidenti di cyber security causati da minacce interne è aumentato del 44% dal 2020 al 2022. Il costo medio per incidente è salito a 648.000 dollari per gli incidenti dolosi, a 485.000 dollari quelli non dolosi. Solo nell’ultimo anno, le minacce provocate dagli insider sono in aumento, arrivando a costare alle aziende una media di 16,2 milioni di dollari all’anno.
Per definizione, una minaccia interna identifica una persona che potenzialmente può utilizzare il proprio accesso per compromettere la riservatezza, l’integrità o la disponibilità dei dati, o dei sistemi informatici (IT) aziendali. Questo include sia le minacce dolose, nel caso in cui un dipendente o un appaltatore utilizzi il proprio accesso intenzionalmente per perseguire un obiettivo contrario agli interessi dell’azienda, sia le minacce colpose, nel caso in cui l’utente abbia il permesso di utilizzare exploit di cyber security, ma non segua le procedure operative standard apposite per limitarne il rischio.
Dati i costi elevati e il tasso crescente di minacce interne di entrambe le due tipologie, è più importante che mai che le aziende siano consapevoli di questi rischi, e di come difendersi da essi.
Anche se le attività interne potrebbero risultare difficili da rilevare, non c’è da disperare. Secondo la nostra analisi sui casi noti, gran parte delle misure difensive utilizzate per individuare e bloccare le intrusioni intenzionali e gli avversari dell’eCrime sono efficaci anche per bloccare le minacce interne.
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Problema n.1: Sorpasso delle autorizzazioni
I team Counter Adversary Operations e Falcon Complete di CrowdStrike osservano da anni le minacce interne alle reti protette. Per capire come funzionano, abbiamo analizzato gli incidenti avvenuti nel periodo tra gennaio 2021 e aprile 2023, e abbiamo trovato diversi insider che sono riusciti a raggiungere i propri obiettivi sfruttando vulnerabilità note.
Più della metà degli insider (55%), provoca rischi aumentando i livelli di accesso sul proprio computer o all’interno della rete. Gli insider cercano di ottenere livelli più elevati per scaricare software non autorizzati, rimuovere prove forensi, o risolvere i problemi nei sistemi IT. Tentando di elevare i propri accessi, questi utenti interni hanno creato – volontariamente o meno – un rischio per l’azienda.
Questi incidenti però non si basano su informazioni riservate conosciute solo da pochi. Gli insider, infatti, hanno sfruttato sei vulnerabilità ben note che hanno un codice proof-of-concept di exploit pubblicamente disponibile su GitHub e sono incluse nel catalogo delle note vulnerabilità sfruttate (KEV) della Cybersecurity and Infrastructure Security Agency (CISA) degli Stati Uniti.
A volte, gli utenti sfruttano queste vulnerabilità per scopi palesemente innocui. In un caso, un utente interno ha usato WhatsApp per scaricare un exploit al fine di aumentare i propri privilegi e installare un’applicazione di file sharing uTorrent, assieme a giochi non autorizzati.
In altri casi, si tratta di un’azione evidentemente dannosa. Alla fine del mese di luglio 2022, ad esempio, abbiamo osservato un ex dipendente di un’azienda media statunitense, tentare di sfruttare una vulnerabilità (CVE-2017-0213) tramite il sistema operativo Windows per condurre attività non autorizzate. Lo sfruttamento di vecchie vulnerabilità, alcune diffuse già nel 2015, sottolineano che queste possono rimanere utili a tutti gli aggressori (interni o esterni), fino a quando non saranno patchate o bloccate, evidenziando quindi l’importanza della protezione dalle minacce relative all’identità, e dell’impiego di strumenti e tecnologie per la sicurezza di nuova generazione.
Problema n.2: scaricare exploit e dispositivi per la sicurezza
Tra gli incidenti legati a minacce insider che abbiamo riscontrato, il 45% ha coinvolto insider che hanno involontariamente aumentato il rischio nel proprio ambiente scaricando exploit non autorizzati, o scaricando altri strumenti di sicurezza offensivi a scopo di test o formazione.
In questi incidenti, gli insider, che potrebbero essere responsabili dell’utilizzo di exploit e di strumenti offensivi nell’ambito delle loro normali mansioni hanno bypassato le procedure di sicurezza. Ad esempio, nel febbraio 2023, un utente interno ad un’azienda tecnologica statunitense ha cercato di scaricare un exploit per una vulnerabilità di accesso al kernel di Windows, utilizzando il proprio computer aziendale invece del sistema di test approvato (una macchina virtuale separata).
Che siano malintenzionate o meno, queste attività mettono a rischio le aziende. Testare gli exploit su sistemi non autorizzati potrebbe interrompere le operazioni a causa di crash di sistema, o altre operazioni negative indesiderate. Inoltre, introducono punti deboli: un avversario che dispone già di un punto d’accesso alla rete, potrebbe individuare questi exploit e utilizzarli per svolgere le proprie attività illecite. Infine, scaricare il codice e non gestirne correttamente l’uso, può introdurre backdoor facilmente sfruttabili dagli aggressori.
Ad esempio, nella nostra analisi abbiamo riscontrato diversi incidenti che coinvolgono il deployment non autorizzato del Metasploit Framework da parte di utenti autorizzati nell’ambiente. Si tratta di un noto framework per i penetration test, spesso utilizzato dai team di sicurezza. Tuttavia, può anche fornire agli aggressori un meccanismo facilmente disponibile per condurre attività di pre e post-sfruttamento.
Soluzioni per la gestione delle minacce interne
La principale attività che ogni azienda dovrebbe considerare, è quella di investire nella formazione dei dipendenti in materia di consapevolezza e compliance. Educare i dipendenti su come identificare un potenziale insider che agisce mettendo a rischio l’azienda è un primo passo prezioso. La maggior parte dei team di sicurezza ha dei protocolli da seguire per la gestione sicura di strumenti e modelli, perciò è altrettanto importante esserne a conoscenza e rispettarli, nonché avvertire la dirigenza in caso di abuso/mancato utilizzo.
Le aziende devono comprendere e applicare il principio del minimo privilegio (POLP). Secondo questo principio, agli utenti e ai sistemi devono essere concessi solo i permessi minimi necessari per svolgere il proprio lavoro. Il POLP, è una delle pratiche più efficaci per rafforzare la sicurezza informatica di un’azienda, e consente di controllare e monitorare l’accesso alla rete e alle informazioni. L’applicazione del POLP aiuta a risolvere i problemi di sorpasso delle autorizzazioni.
Inoltre, molte delle vulnerabilità che vengono utilizzate dagli insider, hanno exploit disponibili al pubblico su GitHub. Limitare o monitorare il download di exploit da GitHub e da altri repository di codice online potrebbe aiutare a limitare tali minacce.
Molte delle vulnerabilità descritte in questo articolo sono state usate anche da avversari specializzati in intrusioni mirate, e interni al business dell’eCrime. Di conseguenza, molte delle contromisure di profondità che i responsabili della difesa delle reti già utilizzano per rilevare e prevenire questi attacchi, risultano utili anche per neutralizzare le minacce interne.
Abbiamo visto insider utilizzare vecchie vulnerabilità, alcune divulgate già nel 2015, a riprova del fatto che le vulnerabilità possono rimanere funzionali a tutti gli attaccanti (interni o esterni) finché l’azienda non le patcha, o le blocca. È un peccato che il “debito tecnico” di molte aziende IT sia discusso in molti interventi di risposta ad incidenti sia per le minacce interne che esterne.
Tuttavia, le sole patch non sono sufficienti per fronteggiare le minacce potenziali. Per questo motivo, le aziende devono implementare vari livelli di difesa. La costruzione di un’architettura Zero Trust e di servizi di protezione delle identità impedisce l’accesso non autorizzato a sistemi e reti. Inoltre, l’analisi del comportamento degli utenti è una tecnica che le aziende possono utilizzare per rilevare utenti che utilizzano credenziali rubate, o per rilevare attività sospette da parte di un insider. L’analisi del comportamento inizia con la creazione di una traccia di comportamento base per ogni utente partendo dai dati storici, in modo da poter identificare le anomalie sospette, e fermarle prima che possano causare danni.
Infine, integrare programmi di Threat Hunting all’interno dei propri sistemi di sicurezza comporta vantaggi considerevoli. Il Threat Hunting è essenziale per essere proattivi quando si tratta di migliorare la sicurezza informatica: non basta aspettare l’allarme, le aziende devono individuare attivamente comportamenti anomali, sfruttando in modo specifico gli strumenti e le tecniche evidenziate sopra per individuare potenziali minacce interne.