In un contesto tecnologico in cui lo spazio cyber è il nuovo terreno di guerra, il professionista di cyber security deve trovare strategie innovative per rispondere efficacemente ad attacchi sempre più sofisticati: in questo senso, la Cyber Deception Technology, cioè l’arte dell’inganno come strategia difensiva, potrebbe essere una delle carte vincenti.
Indice degli argomenti
Cos’è la Cyber Deception Technology
Il paradigma classico della cyber security difensiva è basato, in ultima analisi, sullo sforzo di rendere l’attacco informatico antieconomico: nella maggior parte dei casi, il criminale, non particolarmente skillato, trovandosi di fronte barriere inaspettate (ad esempio il firewall hardware, la segmentazione di rete, il controllo degli accessi basato sul minimo privilegio o meccanismi IDPS), vede “crescere i costi” della sua attività e, muovendosi all’interno di una logica “economica” costi-benefici, preferisce semplicemente volgere lo sguardo altrove, in vista di un ambiente più conveniente.
Il punto cruciale oggi è comprendere che la logica economica vale, appunto, nella maggior parte dei casi. Non sempre.
Esiste un mondo, quello degli attacchi mirati e persistenti, per cui il criminale è stato “ingaggiato” su commissione e penetrare il sistema target è un obiettivo svincolato da logiche di efficienza e legato esclusivamente al compimento, “ci voglia un giorno o un anno”, dell’opera commissionata.
In questo contesto, quello degli attacchi mirati e persistenti, le strategie di difesa tradizionali sono destinate a soccombere, i firewall saranno bypassati attraverso complesse tecniche combinate di tracerouting, studio della topologia di rete e scansioni lente e impercettibili, i sistemi IDPS saranno ingannati attraverso opportune manipolazioni crittografiche, i privilegi scalati con un lungo ma tecnicamente possibile attacco BOF.
È qui che l’analista difensivo deve essere creativo, uscire dagli schemi e cominciare a ragionare “mirrorizzando” il criminale.
Come progettare l’architettura di sicurezza al di fuori dei canoni tradizionali? Come spiazzare il nemico?
Semplicemente non bloccandolo fuori ma “tirandolo dentro”, con l’inganno. La Cyber Deception Technology, a differenza dell’impostazione tradizionale, non ha l’obiettivo di tenere il nemico lontano ma di attirarlo in trappola per studiare le sue mosse, per vincere sul suo stesso terreno.
La Cyber Deception Technology può essere vista come l’insieme degli artifici e delle tecnologie che hanno lo scopo di creare ad arte uno scenario appetibile per l’attaccante in modo da indurlo a fare la prima mossa e, allo stesso tempo, per monitorarne il comportamento, scoprendo il più possibile sulle strategie di hacking non conosciute dalla community di cyber security.
Cyber Deception Technology e social engineering
Il lettore attento avrà notato che la tematica presenta similitudini importanti con le metodologie di social engineering; in effetti, si tratta di rivolgere le stesse tecniche contro i loro fautori, si tratta in entrambi i casi di artifici, di scenari che approfittano delle medesime “variabili d’ambiente” (il cyberspace e il suo potenziale di “mascheramento”, che favorisce l’inganno), delle stesse tare psicologiche (l’utilitarismo, il narcisismo e il meccanismo premi e punizioni nel caso del criminale), e soprattutto delle stesse competenze e skill informatiche, legate, ai vari livelli, alla profonda conoscenza del nuovo essere umano, quello tecnologico, immerso nella società digitale.
Si tratta, dunque, di riprodurre alla perfezione il target appetibile per l’attaccante, senza tuttavia “scoprirsi troppo” rivelando l’artificio e, in una fase successiva, ripercorrere quale sarebbe il prossimo passo dell’attaccante per creare, step dopo step, un ambiente adatto a monitorarlo.
Costruire uno scenario di Cyber Deception Technology
Per costruire uno scenario credibile sarà necessario prestare una grande attenzione alla fase dell’information gathering, cioè il momento in cui il criminale tenterà di acquisire più informazioni possibili sull’azienda target.
Lato difensivo, la reazione fuori dagli schemi richiesta ai professionisti della Cyber Deception Technology è quella di creare ad hoc una realtà target assolutamente credibile, se del caso partendo dalla costruzione artificiale di un brand, la progettazione del classico sito vetrina, la creazione di profili social finti (da mantenere attivi, anche se ciò necessita un certo sforzo), la posa in opera di un file sharing non protetto, eventuali condivisioni di informazioni tecniche sui forum di assistenza di prodotti software o di altri contenuti in grado di suscitare un immagine “strategica” di azienda poco strutturata (quindi poco attenta sul versante cyber) ma allo stesso tempo partner di una filiera appetibile (magari indicando sul sito, confezionato per l’esigenza, i nomi di partner importati e conosciuti)[1].
Una volta “costruito il pretext” bisognerà solo scegliere, tecnicamente, quale servizio vulnerabile esporre su internet.
Realizzare il “vettore di attacco” significa dunque confezionare quella che è forse la metodologia più conosciuta di Cyber Deception Technology, cioè l’honeypot.
L’honeypot è un bersaglio “facile”, un’esca appositamente studiata e progettata per due finalità:
- distogliere l’attenzione dell’intruso dai reali asset strategici;
- monitorare le azioni compiute dall’attaccante per acquisire informazioni, utilizzabili in ambito giudiziale, oppure conoscenze utili alla comunità di cybersecurity sui tool utilizzati o sul comportamento dei malware installati nei sistemi.
A queste due grandi finalità corrispondono rispettivamente due grandi ambienti di Cyber Deception Technology:
- l’ecosistema a bassa interazione, composto da honeypot e altre risorse (ad esempio file ingannevoli, i cosiddetti honeytoken, come il Google Hack honeypot) tendenzialmente statiche, posizionate nel network per “prendere tempo” e per distrarre l’attaccante da obiettivi sensibili; sono dispositivi non integrati, con software che emulano il servizio reale ma non veramente interattivi e per tale ragione economiche, facili da configurare e, come è ben comprensibile, anche semplici da smascherare; Un esempio di risorsa a bassa interazione è l’honeypot Deception Toolkit (DTK), creato da Fred Cohen nel 1998, la cui tecnologia si è evoluta nella famosa honeynet Honeyd.
- L’ecosistema ad alta interazione, al contrario, mette in campo sistemi vulnerabili reali (per lo più virtualizzati) che hanno un tasso e una potenzialità di interazione completa.
Il controllo degli host ad alta interazione da parte dell’attaccante può essere altamente pericoloso (sarebbero facilmente utilizzabili come zombie o per implementare attacchi Denial of Services distribuiti), dunque è richiesta la massima attenzione nelle fasi di deploy e di monitoraggio e manutenzione, con costi sicuramente più elevati.
D’altro canto, un sistema ad alta interazione, reagendo ai pattern dei criminali in modo impeccabile, è difficile da rilevare, specie se si riesce a mascherare il banner del software di virtualizzazione, e rimane la scelta più efficace per raccogliere un gran numero di informazioni sul nostro visitatore indesiderato.
In entrambi i casi, i servizi vulnerabili maggiormente appetibili possono essere, tra gli altri, esemplificati nei seguenti:
- l’OpenSSH, nelle release precedenti alla 3,3 ma esistono criticità alte anche nella release 5.8;
- il File Transfer Protocol, FTP, noto per trasmettere le credenziali di accesso al servizio di distribuzione dei file in chiaro;
- il Simple Network Management Protocol (SMNP), protocollo usato per gestire da remoto gli host di rete, utilizzando un sistema di autenticazione basato su stringa comune;
- RPC; le Remote Procedure Calls permettono alle applicazioni che le invocano di agire su un dispositivo remoto con un profilo di accesso privilegiato; attraverso il tipico attacco BOF è possibile reindirizzare il flusso di esecuzione del programma chiamante su una locazione di memoria scelta dall’attaccante, che eseguirà una shell di cui avrà ereditato il profilo di accesso privilegiato.
Gli ambienti ad alta interazione, spesso gestiti da terze parti, aggiungono, oltre a questi servizi “esca” completamente funzionanti, delle complesse piattaforme di riconoscimento di pattern, monitoraggio e conservazione delle tracce informatiche generate dalla visita dell’ospite indesiderato.
Più l’analista difensivo che progetta il sistema è preparato nel riconoscimento dei pattern di attacco, più sarà in grado di configurare un “ambiente collaterale” in grado di registrarlo, di controllarlo e canalizzarlo.
Considerazioni finali
Se il social engineering rappresenta la nuova frontiera delle cyber minacce, la Cyber Deception Technology può quindi essere considerata la nuova frontiera della sicurezza informatica?
La risposta alla domanda è complessa e deve tener conto di una prospettiva multidimensionale: sicuramente la Cyber Deception Technology rappresenta uno scenario importante per gli sviluppi della ricerca e un terreno fertile di sperimentazione, specie dei fervori accademici; ad un secondo livello, di nicchia ma sempre più emergente in virtù del progressivo affermarsi dei sistemi di virtualizzazione che ne abbattono i costi, si configura come un’opzione efficace da intraprendere laddove il target sia particolarmente soggetto ad attacchi mirati e persistenti; in terzo luogo, e a livello di interesse più generale, rappresenta sicuramente un patrimonio tecnico-conoscitivo imprescindibile per ogni operatore e analista cyber, visti i numerosi spunti professionali che possono emergere, nella mente preparata, davanti all’intreccio e all’illuminante interazione che intercorre tra il piano cyber offensivo e quello difensivo.
NOTE
- Un magistrale esempio di costruzione del pretext difensivo e di ambiente CDT ad alta interazione è enucleato dal contributo “Caught in the Act: Running a Realistic Factory Honeypot to Capture Real Threats” di Stephen Hilt, Federico Maggi, Charles Perine, Lord Remorin, Martin Rösler, and Rainer Vosseler. ↑