Governare i dati di un’organizzazione significa governarne soprattutto i processi che li gestiscono. Spesso i processi sono interfunzionali, attraversano e interessano più unità organizzative, e quelli di data governance lo sono particolarmente: alla funzione ormai consolidata in molte aziende di chief data officer (CDO) si affiancano i ruoli di data owner, data user, application owner, data steward.
In un sistema maturo e diffuso di data governance questi ruoli interessano una parte consistente delle unità organizzative aziendali e molte di queste si trovano, in funzione degli ambiti informativi, a giocare anche più di un ruolo.
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Data governance e servizi concreti all’azienda
Ad esempio il CDO, o una unità organizzativa che da lui dipende, può essere contemporaneamente data user dei dati relativi alle vendite che riceve dalla direzione commerciale e data owner dei dati di bilancio.
In generale i ruoli vengono assegnati ad unità organizzative composte da persone la cui funzione principale non è quella di fare data governance; ma il sistema di data governance non può funzionare senza il loro contributo.
Il primo problema che un CDO si trova ad affrontare è quello di far succedere le cose attraverso l’operato di risorse che non dipendono direttamente da lui: è un problema operativo, con implicazioni organizzative, ma sicuramente è anche un problema culturale.
Non è solo necessario promuovere la consapevolezza del fatto che i dati sono ancora più oggi, in un’era di digital transformation, un asset fondamentale di un’impresa; bisogna anche capire che questo asset non è scontato, deperisce, perde il suo valore e si trasforma in rischio se non è adeguatamente protetto, presidiato, garantito con la partecipazione di tutti.
È questa la sfida: passare da un approccio episodico, volontario ad un sistema non tanto coercitivo, ma presidiato e consapevolmente partecipato.
Ogni CDO affronta questa sfida a modo suo, anche sulla base delle condizioni di contesto.
Uno dei modi a nostro avviso più efficaci per far funzionare questo sistema diffuso è quello di organizzare i processi di data governance in modo da “esporre” una serie di servizi il più possibile concreti e percepibili dall’azienda.
L’esempio più semplice è ovviamente quella della data quality: un impianto di controlli automatici rileva anomalie che attivano servizi informativi, erogabili in forma di report periodici, di mail di notifica al data owner e ai data user dei dati coinvolti, o servizi operativi come l’avvio di un workflow strutturato di remediation delle anomalie.
Sempre in quest’ambito è possibile prevedere un servizio di presa in carico di segnalazioni, di ticket che riguardano problemi di qualità dei dati.
Ma anche per altre prospettive di governo è possibile organizzare un catalogo di servizi di data governance.
Le informazioni relative alla retention policy dei dati, strutturate in forma di metadati, forniscono ad esempio un contributo importante nella determinazione della ricevibilità di una richiesta di cancellazione dei propri dati personali da parte di un interessato, come previsto dal GDPR.
Nel contesto di iniziative di revisione delle procedure organizzative o di modifiche alle applicazioni informatiche risultano particolarmente utili agli application owner, ma anche alle unità organizzative al di fuori dell’IT, servizi che determinino gli impatti che questi interventi possono avere non solo sui sistemi ma anche sui processi aziendali, partendo da metadati relativi ai dati coinvolti.
Un modello orientato ai servizi
Un modello orientato ai servizi è in effetti una naturale estensione ai processi di data governance del paradigma “declarative”, secondo il quale tutta la complessità tecnica automatizzabile viene resa trasparente all’utente ed è risolta automaticamente dal gestore del servizio, sia esso una tecnologia o un sistema organizzativo.
L’elemento essenziale per l’erogazione di servizi di data governance è il sistema di metadata management, la cassaforte aziendale, amministrata dal CDO, in cui entrano, sono ordinatamente conservate e vengono diffuse attraverso i servizi a catalogo tutte le informazioni relative ai dati di interesse dell’organizzazione.
È vero che dire “servizi” è in questo caso un altro modo per chiamare i processi, ma c’è una differenza: in un approccio service oriented ogni processo deve rispondere, direi formalmente, al quesito: a cosa serve questo processo? a quali domande o esigenze concrete è in grado di rispondere?
Le domande non saranno sempre le stesse: ad esempio nel tempo l’organizzazione insedia nuovi processi per rispondere a opportunità di mercato, a nuovi obblighi normativi.
Conseguentemente l’offerta del sistema aziendale di data governance dovrà adeguarsi a queste nuove necessità (se non anticiparle), garantendo nel tempo la disponibilità di tutti i metadati necessari per l’erogazione dei servizi.
Per questo un sistema di metadata management deve rispondere a caratteristiche di dinamicità, flessibilità, ovviamente nei contenuti ma anche nella struttura.
Questa caratteristica strumentale è una condizione necessaria per la vitalità ed il successo di un sistema di data governance utile e a prova di futuro.
Data Governance e Digital Business
Parliamo ormai da tempo di digital business e forse ancora più di digital transformation, considerandoli fattori chiave per il successo, se non per la sopravvivenza, delle imprese.
Chiave del successo di aziende nate “digital”, chiave per la sopravvivenza di aziende incumbent che hanno sperimentato l’inattesa comparsa nel proprio mercato di una concorrenza in grado di operare con modelli di business innovativi; modelli interamente basati sulle tecnologie dell’informazione, in grado di erodere significative fette di quel mercato fino ad allora di loro esclusivo appannaggio.
Si è parlato e scritto tantissimo su quanto una transizione verso questi modelli comporti cambiamenti non solo e non tanto nelle tecnologie, ma nei processi, nelle competenze, nella cultura d’impresa; è però innegabile che non c’è digital business senza dati.
Qualche esempio? L’interazione digitale con il cliente, ad esempio per mezzo di una app, si esprime attraverso lo scambio di dati.
Un processo complesso di gestione del customer journey digitale viene ideato, progettato, realizzato, eseguito, governato, grazie ai dati raccolti, arricchiti, aggregati, acquisiti, trasformati, generati nelle varie fasi del suo ciclo di vita, dalla concezione, all’esercizio.
Consideriamo in maggior dettaglio queste fasi. Servono dati per gestire l’esercizio della relazione con il cliente, relazione che genera a sua volta informazioni: in un modello digital intensive buona parte di questa relazione è automatizzata, anche perché parte del suo valore sta nella velocità della sua esecuzione, non interrotta da human task; l’intervento umano è elevato a ruoli di supervisione, a processi decisionali non automatizzabili (magari per ora…); questa delega dell’esecuzione del processo alla sola tecnologia implica fiducia non solo nella tecnologia stessa, ma nei dati che essa tratta: si richiede che siano completi, accurati, tempestivi.
Stiamo parlando di soddisfare criteri di qualità del dato, qualità che deve essere garantita preventivamente, proattivamente.
Che cosa serve alle aziende
Servono dati per supportare la fase di progettazione e realizzazione delle soluzioni tecnologiche a supporto del processo: sia che si tratti di testare una soluzione, sia nel caso in cui si debba addestrare un modello di machine learning, servono dati.
È necessario identificare dati che rappresentino casi d’uso rappresentativi, garantendo ad esempio il rispetto di vincoli di protezione dei dati personali (ad esempio pseudonimizzando i dati di test o i training set); ma questo richiede un corredo di metadati (ownership, semantica, regole di masking) che consenta di qualificare i dati impiegati a questo scopo.
Anche le fasi propedeutiche alla realizzazione della soluzione (quali la ricerca di opportunità di digitalizzazione, sostenibilità/fattibilità di una business idea) richiedono dati opportunamente qualificati, cioè corredati di metadati in grado di determinarne nel dettaglio l’esistenza nei sistemi informativi o la disponibilità in fonti accessibili all’azienda, l’attendibilità, i percorsi di trasformazione a cui sono sottoposti (regole di discovery, quality, lineage).
Ma soprattutto serve una data strategy allineata alla strategia digitale. Senza una visione strategica che piloti e programmi la trasformazione digitale, il successo o il destino di un’azienda sono legati a un filo, quello dell’occasionalità, dell’opportunità episodica, che non è certo garanzia di risultato.
Allo stesso modo è necessario stabilire una strategia che governi quello che è sempre più un patrimonio dell’azienda: gli asset informativi.
È necessario verificare che si disponga di tutto quanto occorre perché i dati siano riconoscibili, valutabili, disponibili in tutte le fasi che abbiamo visto nelle righe precedenti: metadati, processi, modelli organizzativi, tecnologie, competenze.
Identificare i gap e programmare un piano di adeguamento che sia in linea con i requisiti e i tempi della strategia digitale.
Significa portare la data governance a dignità di fattore abilitante di una visione strategica per il futuro dell’impresa.
Molti CDO che conosco sono consapevoli di questa necessità. Quanti CEO, quanti altri C-level lo sono?