Se il 2020 è stato sotto molti aspetti un anno paragonabile a un terremoto, il 2021 rappresenta il momento delle scosse di assestamento, in particolar modo per i CISO (Chief Information Security Officer) il cui ruolo si è confermato fondamentale per sviluppare una corretta strategia di cyber security aziendale.
Dopo aver ampiamente superato la sfida iniziale costituita dall’implementare e proteggere gli ambienti remoti con un minimo preavviso, oggi i responsabili della sicurezza aziendale devono non solo riuscire a garantire questa protezione sul lungo termine, estendendola anche agli ambiti ibridi, ma anche scoraggiare eventuali tentativi di attacco da parte dei criminali informatici, sempre più sofisticati, ampiamente stimolati da un anno di stravolgimenti e incertezze, e avvantaggiati dalla possibilità di sfruttare una superficie di attacco molto più ampia e singoli utenti che operano ancora in condizioni di lavoro relativamente nuove.
In un panorama di minacce così vasto e variegato, non c’è da meravigliarsi, dunque, se i CISO di tutto il mondo stiano avvertendo una forte pressione su di sé e, non a caso, ben il 64% dei CISO italiani intervistati nel report Proofpoint Voice of the CISO 2021, ha dichiarato di sentirsi a rischio di attacco nei prossimi 12 mesi. Ma non è tutto.
La stessa percezione del rischio è cresciuta, tanto che il 42% dei CISO in Italia si è dichiarato maggiormente preoccupato delle ripercussioni di un cyberattacco rispetto al 2020, anche in virtù di una scioccante ammissione di vulnerabilità: la maggior parte degli intervistati, il 66% a livello globale e il 63% in Italia, ritiene che la loro organizzazione sia impreparata a gestire un attacco.
Forse, con i ricordi dell’anno scorso ancora freschi nella memoria, queste opinioni potrebbero non essere una sorpresa per molti, ma ciò che è certo è che, mentre tutti noi cerchiamo di superare la pandemia, le organizzazioni devono diventare capaci di gestire il nuovo scenario in cui operano.
Affinché ciò sia possibile, abbiamo bisogno di capire diversi elementi: chi, nelle nostre aziende, è ora più vulnerabile agli attacchi; quali tipologie probabilmente affronteranno; e, che tutti, dal CISO al team delle risorse umane, hanno un ruolo nel contrastarli.
CISO: che fa e come si diventa Chief Information Security Officer
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Affrontare le minacce, vecchie e nuove
La distanza tra la consapevolezza del rischio informatico e la preparazione a difendersi è preoccupante, ma tutt’altro che incomprensibile se consideriamo che le organizzazioni moderne devono affrontare un ampio ventaglio di potenziali minacce, con i cyber criminali, dall’altro lato, che continuano a impiegare tutti i mezzi a disposizione, vecchi e nuovi.
In particolare, secondo la ricerca, agli occhi dei CISO italiani gli attacchi più temibili risultano essere:
- il Cloud Account Compromise (votato dal 37%);
- i DDoS (35%);
- il Business Email Compromise (31%);
mentre gli attacchi alla supply chain e le minacce interne si classificano al quinto e sesto posto (30% e 29%).
Non esiste una difesa univoca da un panorama di insidie così vario. Alcuni strumenti e controlli tecnici possono proteggere da più di uno stile di attacco, ma è solo un aspetto di una difesa efficace, che deve necessariamente porre al suo centro un altro elemento: la formazione di una consapevolezza della sicurezza, che dovrà essere personalizzata e adattabile, non solo nei confronti delle minacce ma anche e soprattutto degli utenti che saranno in prima linea nel combatterle.
Senza l’avvenuta presa di coscienza degli utenti più vulnerabili e dei tipi di attacchi che possono colpirli, dare priorità a una strategia di protezione risulta infatti molto arduo, ancor di più tenendo conto del lavoro ibrido, degli orari flessibili e dei punti di accesso multipli ormai elevati a norma.
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Risolvere il “problema umano”
Come accennato, le sfide che il moderno CISO deve affrontare non si concentrano su un solo fronte, anzi: ancor più dei cybercriminali, a preoccuparli sono coloro che si ritrovano a essere le prime vittime di attacco, ossia gli utenti.
Secondo il report, il 50% dei CISO italiani (e ben il 58% a livello globale) ritiene l’errore umano la più grande fonte di vulnerabilità informatica, considerando che la consapevolezza degli utenti non sempre dà vita a un cambiamento comportamentale ed elencando tra i maggiori fattori di rischio password non sicure (non cambiate o riutilizzate), la fuga di dati intenzionale e le email di phishing.
A questi si è inoltre aggiunta la sfida a lungo termine rappresentata dagli ambienti di lavoro ibridi. Il 53% dei CISO italiani concorda sul fatto che il lavoro remoto abbia reso la loro organizzazione più vulnerabile ad attacchi mirati, e il 58% ha osservato un aumento negli ultimi 12 mesi.
Capire il perché è facile: gli ambienti non aziendali tendono a renderci più inclini agli errori, a valutazioni potenzialmente errate e più vulnerabili ai cyber attacchi.
Il lavoro remoto, dunque, richiede leggere modifiche anche alle migliori pratiche di sicurezza. L’uso di reti e dispositivi personali potrà necessitare di maggiori protocolli e protezioni. E, purtroppo, molti utenti non sono ancora adeguatamente formati per questo ambiente, e solo il 60% di tutti i CISO intervistati li ritiene adeguatamente pronti per lavorare al di fuori dell’azienda.
Questa situazione deve cambiare, e velocemente. Lo sconvolgimento causato dalla pandemia non è mai stato un problema a sé stante. Non c’è un ritorno alla normalità. Il nostro modo di lavorare è stato cambiato per sempre e non è necessariamente un male.
Mentre reinventiamo i nostri ambienti d’ufficio, consentendo alle persone di assumere una maggiore padronanza del loro modo di lavorare, abbiamo l’opportunità di fare lo stesso per la protezione informatica, per costruire strategie che riconoscano il ruolo vitale delle nostre persone nel mantenere le nostre organizzazioni al sicuro.
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Costruire una difesa per un futuro più luminoso
Le battaglie affrontate dei CISO nell’ultimo anno e mezzo sono state ampiamente documentate, ma nonostante la portata delle recenti sfide, molti intravedono una prospettiva brillante per gli anni a venire, confidando che la propria strategia di cyber security saprà stare al passo coi tempi.
In Italia, il 60% reputa di diventare in grado di resistere e riprendersi in modo migliore dagli attacchi entro il 2023, mettendo ai primi posti tra le priorità il miglioramento della consapevolezza dei dipendenti sulla cybersecurity (scelta dal 42%, dato nettamente superiore a quello globale che è il 32%), l’incremento del supporto al lavoro remoto (31%) e il consolidamento delle soluzioni e dei controlli di sicurezza (31%).
La prima, in particolare, è motivo di ottimismo.
Indipendentemente dalle caratteristiche fisiche o virtuali del posto di lavoro, esso avrà sempre al suo centro delle persone. E, ovunque si trovino, è probabile che le persone rimangano esattamente nel mirino dei criminali informatici, specie considerando che oltre il 90% dei cyber attacchi richiede l’interazione umana per essere portato a termine.
Di conseguenza, qualunque siano le minacce che il CISO deve affrontare oggi, domani o tra due anni, le persone costituiscono una vitale linea di difesa. Costruirla significa creare una forza lavoro vigile e competente ovunque si trovi, capace di comprendere le minacce che deve affrontare, i metodi che si celano dietro di esse e come il proprio comportamento può fare la differenza tra successo e fallimento. Più sarà in grado di farlo, meglio riuscirà a proteggere l’organizzazione dai danni.
Certo, il lavoro dei CISO non è facile, e senza dubbio, gli anni a venire porteranno molte altre sfide. Ma, proprio conoscendo il ruolo centrale che riveste nella stragrande maggioranza dei cyber attacchi oggi, la consapevolezza degli utenti non dovrebbe più essere una di queste.