Prosegue a fasi alterne la vicenda dei non-fungible token (NFT), certificati “di proprietà” di opere digitali che dopo l’esplosione del marzo scorso veleggiano fra l’hype più acceso e momenti di raffreddamento in cui pare di avere a che fare con un fenomeno passeggero.
In questo momento di espansione, che potrebbe stabilizzare o condannare all’oblio questo nuovo orizzonte tecnologico, gli NFT si stanno espandendo oltre il settore della crypto-art che li aveva fatti esplodere, cercando un’identità e sperimentando nuove funzioni.
Tra i “collectibles” più bizzarri recentemente ceduti come NFT si registra, ad esempio, chi ha venduto il codice sorgente di internet (aggiudicato per 5,4 milioni di dollari), chi invece (l’Università della California) ha venduto come NFT una sorta di copia autografata di parte del lavoro del premio Nobel James Allison (ottenendo la somma, meno impressionante, di 50 mila dollari) e chi invece progetta di vendere il proprio genoma.
Tutte queste evoluzioni del fenomeno NFT si basano però sempre sul principio per cui questi token sono utilizzabili per “digitalizzare” il collezionismo, aprendo nuovi mercati e a volte di fatto creando dal nulla un valore di rappresentazione di un bene altrimenti non spendibile sul web (perché non vendibile o perché già troppo diffuso).
Nel mercato degli NFT inizia però a muoversi qualcos’altro, qualcosa di forse più interessante e più duraturo della semplice possibilità di “autografare” pezzi di codice.
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Gli NFT come contratti
Se guardiamo alla natura degli NFT in nuce, questi token consentono una trasmissione di diritti su un bene digitale “firmato” dal venditore.
Se studiamo quindi le caratteristiche essenziali degli NFT, ci rendiamo conto che questi possono essere un potente strumento contrattuale, e che sono quindi reinventabili come strumento giuridico in un senso più ampio.
Per capire di cosa si tratti bisogna tornare alla definizione di NFT.
Va ricordato infatti che chi acquista un non-fungible token acquista di fatto una piccola serie di bit, inclusi in un “contratto” che segue un preciso standard tecnologico (ad esempio su Ethereum uno degli standard ERC-721 o ERC-1155).
Quello che compone il contratto è quindi: (1) la serie di bit oggetto del contratto, (2) l’indirizzo da cui proviene la serie di bit, (3) una serie di regole che ne disciplinano alcuni aspetti tecnici, (4) l’indirizzo del destinatario della serie di bit.
Per quel che qui interessa, la serie di bit oggetto del contratto deve rimandare (e spesso lo fa con una funzione di hash, ovvero un riferimento univoco ad un file) ad un contenuto preciso. Quel che dà valore al contenuto e lo distingue dalle sue infinite repliche sulla rete è l’account (accreditato) da cui proviene il contenuto stesso e che ne costituisce, di fatto, la firma.
L’anonimato che caratterizza le operazioni su blockchain viene quindi meno quando si parla di NFT, anzi è essenziale denunciare il collegamento fra l’autore dell’opera e l’account da cui questa proviene, perché sarà proprio la provenienza dell’opera da un dato account legittimo a conferirle valore e la tecnologia blockchain consentirà di poter risalire la catena delle cessioni a ritroso fino al creatore con sicurezza e senza possibilità di truffe.
L’opera in sé, invece, di solito non è inclusa nel token, ma il contratto include solamente un rimando univoco all’opera, che sarà poi conservata altrove sulla rete (spesso con sistemi sicuri come gli indirizzi IPFS (InterPlanetary File System).
Un contratto garantito da un terzo imparziale
L’NFT però evidentemente si presta anche a nascondere il contenuto dell’opera trasferita e questo può essere un ottimo espediente per trasferire ad esempio la paternità di un diritto intellettuale che non può ancora essere reso pubblico.
Pensiamo ad esempio ad un editore che acquista i diritti su un’opera letteraria in corso di stesura. La bozza (opera unica) potrebbe benissimo essere oggetto di un riferimento nel contratto che lega autore ed editore, garantendo a un tempo che il primo era autore dell’opera a quella data e che il secondo ha acquistato i diritti relativi a quella precisa bozza di documento.
L’effetto è quello di un contratto “garantito” da una figura terza e imparziale senza la necessità di dover divulgare il contenuto dell’opera al terzo né di pagarlo per la sua attività. Il terzo imparziale è sostituito dalla blockchain, che con il proprio registro distribuito garantisce con certezza data e contenuto di una determinata operazione.
L’NFT a questo punto contiene un riferimento univoco al file della bozza di opera ed entrambe le parti del contratto, senza che nessuno possa conoscere il contenuto del rimando, possono associare lo smart contract al file originale in modo univoco, dimostrando che il contratto era riferito a quell’opera e sottoscritto in una certa data (l’autore potrà difendersi da accuse di plagio ed evitare contestazioni da parte dell’editore e l’editore potrà dimostrare di aver acquistato precisamente quell’opera, che era a quel preciso stadio di sviluppo all’atto della creazione dell’NFT, tutto questo senza che nessun altro oltre alle parti debba conoscere l’opera di cui si discute).
Le potenzialità degli NFT come strumenti contrattuali
È pur vero che una semplice operazione di trasferimento di fondi su blockchain consente di ottenere lo stesso effetto di datacertazione (inserendo come “causale” l’hash del file), ed è pur vero che altri smart-contract consentono di trasferire la paternità di opere o documenti da mantenere “nascosti”, però i contratti che solitamente regolano gli NFT hanno dei vantaggi rispetto alle alternative descritte in quanto sono molto più evoluti rispetto a una “semplice” transazione su blockchain e, al contempo, sono standard e molto diffusi e quindi più semplici da utilizzare anche per l’utente meno esperto.
Quanto alle potenzialità degli strumenti che gestiscono gli NFT, più evolute rispetto alle semplici transazioni su blockchain o al progetto OpenTimeStamps (che nasce con l’obiettivo della sola datacertazione dei file), basti pensare ad esempio alla possibilità di trasferire il contratto con NFT annesso di cui al nostro esempio, fra autore ed editore, nel caso in cui l’editore che voglia cedere il contratto ad un terzo interessato alla pubblicazione, ovvero gestire la pubblicazione di quello che si preannuncia un best-seller unitamente ad un altro editore per esigenze di economia di scala.
Gli standard contrattuali che regolano gli NFT su Ethereum sono perfettamente in grado di regolare una cessione totale o parziale dell’NFT, consentendo così alle parti del contratto originario una gestione digitale molto più flessibile del loro rapporto negoziale.
Un altro esempio che consente di intuire le potenzialità di questi sistemi contrattuali è quello di un patto di riservatezza (NDA), in cui i dati da non divulgare potrebbero essere inclusi in un rimando contenuto in un NFT fra il titolare dei dati e il soggetto tenuto a non divulgarli.
Anche qui, un NFT permette alle parti di avere ben chiaro contenuto e limiti dell’obbligazione di non divulgazione, consentendo alle parti di documentare con precisione quando la pattuizione è stata negoziata e a quali dati va rivolta. L’NFT ha poi il vantaggio di poter trasferire/estendere l’obbligazione a diversi soggetti.
Altri casi d’uso interessanti sono quelli, ad esempio, dei brevetti e dei contratti di sviluppo, che possono veder “registrati” su NFT i vari stati di avanzamento, datacertati, con il relativo trasferimento di obbligazioni.
È chiaro però che i casi d’uso di questa tecnologia nel settore del diritto siano molto più estesi rispetto a quelli astrattamente ipotizzabili. Questi smart-contract, che sono diventati famosi con la vendita di collectibles, potrebbero sopravvivere all’hype e continuare a popolare il nostro quotidiano come strumenti dedicati a professionisti e imprenditori.
La possibilità di “combinare” smart-contract
L’utilizzo degli smart-contract dedicati agli NFT (e quindi a prodotti che sono e devono rimanere “unici”) ben si presta anche a forme evolute di contrattualizzazione su blockchain che partono da un contratto NFT (es. ERC721) per la cessione di un bene “unico” e che deve rimanere tale.
A questo NFT iniziale si aggiungono altri contratti secondo il diverso standard ERC20 (il token “base” di Ethereum per gli smart contract). Questi contratti sono invece focalizzati sulla transizione economica e quindi possono essere utilizzati ad esempio per gestire sub-licenze di un’opera intellettuale inizialmente ceduta via NFT.
La “tokenizzazione” via NFT non è quindi che la punta dell’iceberg per un utilizzo professionale di questi contratti su blockchain, che il fenomeno della crypto-art ha contribuito a far conoscere e familiarizzare al grande pubblico.
Le piattaforme per l’utilizzo degli NFT
Ovviamente questi discorsi complessi dovranno essere tradotti in strumenti molto semplici ed immediati da utilizzare perché possano diffondersi al grande pubblico, ed in realtà ci sono già degli applicativi che si stanno occupando di queste soluzioni rivolte al mondo business.
Un interessante esempio italiano è Pablock, sviluppato da un’azienda spin-off del Politecnico di Milano, che offre su una comoda e intuitiva app un servizio API per notarizzare, creare NFT o token ERC20, il sistema presenta anche un meccanismo di “verificazione” dell’utente per comprovare l’identità del soggetto che opera sulla blockchain. Il sistema si “muove” su Ethereum e ha quindi il vantaggio di essere del tutto decentralizzato e quindi in potenza interoperabile.
Interessante è anche la proposta di Stampd che propone la creazione di NFT per finalità di notarizzazione sulla blockchain di Cardano (un’altra blockchain basata su proof-of-stake), i file sono poi automaticamente caricati su InterPlanetary File System (IPFS).
Su iOS, invece, è disponibile l’app S!NG, che promette di notarizzare come NFT “ogni idea”.
Altra soluzione italiana è Dedit, che si fonda sulla blockchain di Algorand, una blockchain basata su un meccanismo di consenso proof-of-stake lanciata nel 2019, che pur non consentendo di creare NFT, permette soluzioni di notarizzazione in parte assimilabili combinando datacertazione su blockchain e servizi di firma.
Prospettive di sviluppo degli NFT
Dopo aver scosso dalle fondamenta il mondo dell’arte, gli NFT sono stati oggetto di accesi entusiasmi e di argomentati ridimensionamenti.
Comunque vada, va riconosciuto a questo boom l’effetto positivo di aver avvicinato gli utenti all’idea che valori economici estremamente significativi possano essere affidato ad un contratto su blockchain, avvicinando anche gli utenti meno avvezzi all’idea di una gestione digitale di contratti e trasferimenti di beni immateriali, cambiando il modo in cui ci si approccia all’arte digitale consentendo di ridare valore a contenuti creativi digitali spesso non spendibili per l’eccessiva riproducibilità consentita dal loro supporto informatico.
Questo avvicinamento potrebbe lasciare un’impronta duratura se fosse in grado di avvicinare definitivamente questi strumenti al mondo dei professionisti e delle imprese, rendendoli un asset significativo per la gestione di contratti spesso delicati e difficili da negoziare perché necessitano di segretezza da un lato e di certezza dall’altro.