Ripensare la sicurezza ICT tra responsabilità e consapevolezza è un obbligo di fatto per le aziende, chiamate come sono a progettare un corretto sistema di gestione per il trattamento dei dati personali necessario per raggiungere la necessaria compliance al Regolamento UE 679/2016 (meglio conosciuto con l’acronimo di GDPR).
Il GDPR ha infatti introdotto il concetto di accountability, la “responsabilità”: un concetto prettamente di stampo anglosassone decisamente indigesto a noi italiani, abituati a ricevere indicazioni precise su “cosa fare” e “come fare”, vedi l’abrogato allegato “B” del D.lgs. 196/2003.
Ma prima della “responsabilità” servirebbe la “consapevolezza” che ancora non c’è. Essere consapevoli significa essere coscienti, informati; non esserlo è invece sinonimo di disinformazione, ignoranza e incoscienza.
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Sicurezza ICT tra responsabilità e consapevolezza: numeri allarmanti
Il Rapporto Clusit 2019 ci dice che dal 2017 al 2018 si è verificato un aumento di circa il 37,7% degli “incidenti” definiti gravi, passando da circa 1.100 a circa 1.500 eventi. Il 79% di questi eventi è dovuto ad attività definite di “cyber crime”, il resto se lo spartiscono l’attivismo, lo spionaggio & sabotaggio e il “cyber warfare”.
La differenza sostanziale con il cyber crime è che le ultime tre categorie sono applicabili ad organizzazioni specifiche e gli attacchi sono tipicamente mirati ed hanno un target o vittima ben definita. Il cyber crime, nella maggior parte dei casi, agisce a “strascico” su grandi numeri, contando sul fatto che qualcuno poco attento e poco protetto si trova sempre.
Qualcuno dice che ci preoccupiamo molto e facciamo poco; la realtà è che ci preoccupiamo poco e facciamo poco. Sempre dal Rapporto Clusit 2019, le tipologie di attacco del cyber crime che spiccano sono per il 38% malware, per un 10% attività di phishing, che poi serve a veicolare sostanzialmente il malware, un 11% attacchi che sfruttano vulnerabilità conosciute delle applicazioni e il restante 41% altre tipologie di attacco.
Perché sostengo che ci preoccupiamo poco? Perché se ci fosse una reale preoccupazione o meglio una reale consapevolezza quell’11% di attacchi su vulnerabilità conosciute dovrebbe essere decisamente più basso.
Se prendiamo in considerazione l’attività di phishing, il “Verizon Data Breach Investigation Report 2019” ci dice che il “clic rate” su e-mail di phishing nel 2018 si è attestato attorno al 3%. Sembra poco ma non lo è: in un’organizzazione di mille utenti significa che circa 30 utenti sono dei potenziali vettori di attacco.
Gli attacchi alle applicazioni web riguardano il 40% degli incidenti e circa 85% di questi attacchi sfrutta le prime 10 vulnerabilità e metodologie indicate da OWASP (Open Web Application Security Project): se ci fosse una reale consapevolezza del pericolo ci si preoccuperebbe di mantenere aggiornati i sistemi.
Per non parlare del fatto che il 63% degli incidenti con attacco verso le applicazioni web è dovuto alle credenziali di accesso (leggi password) deboli, di default o perse, molto spesso di persone con “elevati privilegi” (gli amministratori di sistema). Questo dimostra che anche gli utenti che dovrebbero preoccuparsi o che comunque dovrebbero avere una certa consapevolezza, perché del “mestiere”, non sono sufficientemente responsabili e consapevoli.
Protezione dati fondamentale per la business continuity
Dobbiamo essere consapevoli che la protezione dei dati intesa come riservatezza, disponibilità e integrità è fondamentale per la continuità operativa dell’azienda sia che si tratti di dati personali tutelati dal punto di vista privacy sia che si tratti di dati di “know how”. Senza i dati l’azienda chiude.
Dobbiamo essere consapevoli che la sicurezza informatica non può essere un’attività una tantum, ma deve essere un’attività continua e costante.
Senza consapevolezza si tende a “restare fermi” o peggio a prendere la strada sbagliata. Essere consapevoli è la condizione necessaria al cambiamento e diventa il fattore abilitante per individuare le cose importanti e quelle meno, per pianificare le azioni da intraprendere, prendendo decisioni ponderate. La consapevolezza sui pericoli descritti sopra porta di fatto a creare un “sistema di gestione ICT” cioè la famosa Governance ICT.
Dobbiamo aumentare la consapevolezza degli utenti, a tutti i livelli, partendo dal “management”: se il “capo” non è interessato alla sicurezza dei dati, perché dovrebbe esserlo la segretaria?
Sicurezza ICT tra responsabilità e consapevolezza: linee guida
La corretta interpretazione e applicazione del Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali e del D.lgs. 196/2003 è la base su cui implementare il “sistema di gestione” o Governance ICT. Se predisponiamo un sistema di gestione per il trattamento dei dati personali questo ricadrà di fatto anche sulla gestione dei dati di “business”.
La valutazione dei rischi per stabilire l’esposizione dell’azienda
Il primo passo essenziale non può che essere una valutazione dei rischi, che ci consenta di stabilire il nostro “as is” cioè lo stato di fatto dell’esposizione ai rischi della nostra infrastruttura. Uno strumento utile è il documento “Handbook on Security of Personal Data Processing” rilasciato da ENISA.
La valutazione dei rischi dovrà comprendere anche una attività di “Vulnerability Assessment” per i sistemi IT interni e per tutti i servizi pubblici. Come abbiamo precedentemente sottolineato, le “web application” sono uno dei vettori di attacco principali e quindi è necessario prestare la massima attenzione a ciò che esponiamo su internet.
Obbiettivo dell’attività di VA è valutare il livello di sicurezza dell’infrastruttura IT e l’esposizione delle proprie componenti verso possibili attacchi informatici, esterni o interni, volti ad eludere i controlli di sicurezza in essere al fine di ottenere l’accesso, non autorizzato, agli asset e alle informazioni aziendali. Un’attività di Vulnerability Assessment ci fornisce la consapevolezza necessaria per pianificare delle azioni correttive appropriate (“piano di remediation”), in funzione delle priorità di intervento, al fine di aumentare il livello di sicurezza e diminuire il rischio residuo e valutare l’efficacia del processo di patching.
L’importanza della security awareness dei dipendenti
Se la valutazione dei rischi è il primo passo, l’attività di formazione è il secondo. La formazione non è importante perché ce lo richiede la normativa (Regolamento europeo): è importante perché ci consente di migliorare la consapevolezza degli utenti.
Basterebbero pochi comportamenti virtuosi per mitigare notevolmente il rischio. L’obbiettivo deve quindi essere quello di aumentate la cultura informatica, ad esempio informando gli utenti sulle tecniche di phishing, definendo delle regole chiare sulle modalità di gestione delle password.
E-mail aziendale come vettore di attacco: ecco come proteggerla
Il secondo principale vettore di attacco è il servizio di posta elettronica, o meglio sono sempre gli utenti, ma il mezzo per arrivare ad essi sono le e-mail. Le tecniche di phishing sono sempre più sofisticate e i “vecchi” sistemi/servizi antispam non sono più in grado di difenderci.
Qualsiasi utente, anche quello più consapevole, potrebbe in un momento di distrazione “cliccare” su un URL malevolo. È fondamentale predisporre delle misure di sicurezza che mitighino e contengano questo rischio:
- un motore antimalware sull’end-point utente;
- un firewall che integri un motore di “Intrusion Prevention” e “antivirus/antimalware”;
- un sistema antispam che integri un motore di analisi degli URL ricevuti via e-mail, siano essi contenuti nel “body” del messaggio o nei documenti allegati.
Il backup per garantire la conservazione dei dati
Implementare un servizio di backup che risponda alla regola “3-2-1 Backup Rule”: tre copie dei dati, su due supporti diversi di cui una remota, con procedure per la verifica delle copie e test di ripristino.
Il backup remoto è indispensabile per una seria procedura di disaster recovery. Una considerazione sui backup: molti considerano la “cassette” o tape uno strumento ormai sorpassato. Io penso invece che siano l’unico strumento che garantisce la “long retention” e per “long retention” mi riferisco ad esempio alla conservazione per 10 anni dei documenti a contenuto e rilevanza giuridica e commerciale (art 2214 del Codice civile), dove per documenti si intende anche le e-mail.
Conclusioni
Per la maggior parte delle PMI, l’implementazione dei quattro punti sopra descritti consentirebbe di alzare l’asticella della sicurezza in modo notevole rispetto alla situazione attuale:
- scoraggiando nella maggior parte dei casi eventuali tentativi di intrusione e limitando notevolmente i punti deboli delle aziende;
- proteggendo da attacchi di phishing eventuali utenti “distratti”.
Non si tratta quindi di implementare particolari soluzioni di sicurezza “esoteriche”, si tratta semplicemente di usare il buon senso, da una parte agendo sulla base di informazioni certe (il vulnerability assessment) per quanto riguarda la gestione dei sistemi, dall’altra coinvolgendo e responsabilizzando gli utenti, fornendo loro delle protezioni idonee.