La gestione del data center tradizionale diventa oggi onerosa anche a causa delle necessarie e continue attività di aggiornamento delle numerose applicazioni software che popolano la sala dati e danno vita all’automazione dei processi core che governano il business.
Il data center aziendale ha poi problemi di capex e opex derivanti dall’acquisto dei server fisici e delle licenze software a cui si aggiungono investimenti legati all’aggiornamento di versione di un software chiave installato su un server (ad esempio un database) richiede procedure a catena di altri componenti software sulla stessa macchina o, peggio, causa problemi di retrocompatibilità. Tutto ciò, specie nelle grandi organizzazioni, va moltiplicato per un gran numero di server.
L’astrazione delle risorse, ovvero un approccio Software Defined Data Center (SDDC) svincola il software dall’hardware, rendendo i sistemi IT più efficienti, il che genera un ritorno medio sull’investimento nelle tecnologie di virtualizzazione del 181%1. Le principali iniziative IT per la fase 1 includono il consolidamento dei server e l’ottimizzazione dei processi di test e di sviluppo. Il risultato più tangibile in questa fase è la riduzione dei costi di capitale (CapEx).
In questo white paper, realizzato da VmWare, gli esperti riassumo i tre passaggi chiave di un approccio SDDC utile a:
- automatizzare il controllo e aumentare la produttività aziendale, generando un ritorno medio sull’investimento
- abilitare l’accesso e l’erogazione di qualsiasi funzionalità IT sotto forma di servizio (Anything-as-a-Service), con un ritorno medio sull’investimento nelle tecnologie di virtualizzazione
- erogare in self-service di funzionalità on demand per una maggiore agilità e una riduzione dei costi OpEx.
L’obiettivo? Realizzare un’organizzazione IT-as-a-Service a basso costo, agile e strategicamente allineata.
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